Finalmente un territorio unito. Per davvero. Così come non eravamo abituati a vedere. Sul NO alle trivellazioni sullo Jonio e sulla terraferma, la Sibaritide sembra aver iniziato a tirare fuori una sua identità. Quella cioè fatta, anima e corpo, di cittadini di tutte le estrazioni sociali, politiche, culturali e di tutte le generazioni, capaci di preferire, sulle grandi battaglie di civiltà ed a difesa della sostenibilità del territorio, una sola voce. Senza bizantinismi. Senza primogeniture. Senza etichette di qualsiasi altra natura. Non possiamo non apprezzare quanti, istituzioni locali e associazioni, a partire dai soggetti promotori, il coordinamento NO TRIV Magna Graecia ed il Comune di Corigliano, hanno saputo e voluto usare in questi giorni parole di dialogo, di condivisione e di collaborazione. Sostanziando di unità ogni appello alla partecipazione ed alla ribellione non violenta contro evidenti attentati all’autodeterminazione delle nostre popolazioni. Con un obiettivo chiaro ed unitario: costruire, attraverso la manifestazione territoriale di sabato 28 marzo a Schiavonea, la prima vera tappa di un percorso di mobilitazione che dovrà essere ormai permanente. Così saprà essere costante, da parte di questa vasta ed importante area della provincia di Cosenza, l’attenzione rispetto alle scelte, troppo spesso ingiuste ed intollerabili, dei governi nazionali. L’Eco dello Jonio si sente in prima fila in questa sfida, che è anzi tutto culturale. Perché è esattamente, questo, il nocciolo della questione: la necessità di mutare dal basso l’approccio culturale al governo delle emergenze e delle opportunità. Sul progetto scellerato delle trivellazioni, purtroppo passato surrettiziamente anche col complessivo ed obbligato voto di fiducia della delegazione parlamentare calabrese, questo territorio ha adesso l’occasione di riscoprire quel salvifico spirito di cittadinanza che fino ad oggi, su tante altre questioni, non si è riusciti a dimostrare. Tanti, troppi fallimenti del nostro passato anche recente, dimostrano che non sono né i simposi, né le buone intenzioni di qualche confraternita a poter smuovere una popolazione. Per la somma di frustrazioni e delusioni accumulate fino ad oggi, la gente non ha più voglia neppure di informarsi, figuriamoci di scendere in piazza. Eppure è la piazza che serve, sia essa fisica o virtuale. E per stimolare i cittadini a ritornare nelle strade, per difendere a denti stretti il futuro loro e dei propri figli da tentativi di neo colonizzazione come quelli delle multinazionali del petrolio, dobbiamo tutti imparare a tirare fuori, senza pudori post moderni, quelli che Enrico Berlinguer chiamava i pensieri lunghi, della Politica ma anche della società civile. Dobbiamo cioè ritornare ad emozionarci e ad indignarci rispetto alla realtà. Mettendo da parte, soprattutto noi Calabresi, ogni inclinazione al fatalismo. Senza aver paura di esigere ed interpretare, ciascuno nel proprio ruolo, quel fondamentale diritto di resistenza. E di alternativa. A tutto. Perché – come disse Benazir Buttho, Primo Ministro del Pakistan nel 1988, la più giovane e prima donna in questo ruolo in un Paese musulmano moderno – il futuro non è nelle stelle ma nelle nostre mani.