Ei fu… nel Trionto, insieme al viadotto, è crollato anche il senso del pudore di certa “politica”
La deriva della rappresentanza popolare che abbaia alla luna e indossa gli abiti del giustizialismo. La vera cortina difensiva dei territori rimangono i cronisti di periferia (quasi sempre inascoltati) e alcuni sprazzi di cittadinanza attiva
Tutti, solo oggi, si accorgono che nella Valle del Trionto c’è un problema. Tutti, tranne noi cronisti di periferia, quasi sempre inascoltati e perculati, che da anni, a cadenza quotidiana, denunciamo uno stato allarmante di dissesto idrogeologico. Noi insieme a qualche cittadino di buona volontà che ancora non ha perso completamente la fiducia nelle istituzioni. Non siamo in tanti ma ci siamo.
Non sappiamo perché quel viadotto della Sila-mare sia crollato, se per un problema strutturale, di progettazione o di manutenzione, come sostiene qualcuno che si è svegliato alla buon’ora del populismo. Saranno le perizie tecniche e le indagini della Procura delle Repubblica di competenza a stabilirlo e a individuare eventuali cause e responsabilità. C’è però una cosa che in queste ore, post tragedia mancata, è sfuggita quasi a tutti tra quelli che, invece, dovrebbero assumere decisioni e studiare strategie: quella strada, quegli storici paesi della Sila Greca, quel territorio "galleggia" sulle sabbie mobili. Un po' come ci sembrano galleggiare quei piloni sul letto del Trionto. È difficile da ammetterlo – ne siamo consapevoli – perché è difficilissimo fare mea culpa su scelte aberranti e sbagliate del passato.
Il vero problema è che anche quella parte di politica che oggi si ripropone come nuova, rinnovatrice, riformatrice ha deciso di scadere nel giustizialismo a “pasta asciutta”. Quello che nasce solo dalla pancia e dal sentiment della rabbia e non ha un minimo di ragionevolezza. Tutta cazzimma e zero proposta, nessun costrutto. Pauroso!
E allora, è opportuno ricordare e rivendicare che siamo stati noi cronisti di periferia a “dare voce” a quella strada della Sila Greca che stava crollando e ad altre che crolleranno se non si interverrà subito. Lo diciamo da mesi e fa rabbia leggere oggi che qualcuno, solo perché seduto sullo scranno della rappresentanza democratica, voglia usurpare il diritto alla denuncia a chi quelle denunce le fa da una vita. E mi vengono in mente le tante inchieste fatte dall’Eco (una caterva), o ancora dai colleghi del Quotidiano Ciccio Madeo e Maria Scorpiniti, o ancora dai colleghi del Corriere della Calabria e delle altre redazioni del territorio. E non siamo arrabbiati perché siamo gelosi delle nostre inchieste o non ci fa piacere che i problemi del territorio in cui viviamo vengano risolti. Tutt’altro. È solo che non vogliamo che il nostro lavoro di consapevolezza e denuncia venga utilizzato come arma politica per battibeccare tra fazioni opposte e contribuire a creare un’aurea di verginità che non c’è. Non c’è, soprattutto dopo annunciate proteste ed evocate catene che, poi, puntualmente sono sempre finite negli scantinati. Perché a conti fatti si è parte del “sistema”, con e senza pedigree di politici di razza.
Fa ribrezzo e schifo questo giustizialismo postumo e imborghesito. Sarà vera gloria? Ai posteri – diceva Manzoni – l’ardua sentenza. Intanto, nel Trionto, insieme al viadotto, è crollato anche il senso del pudore di certa “politica” (quella con la “p” rigorosamente minuscola).