Le avventure di Bava, fuga in città: l'ultima opera dell'autrice Manuela Mastrota
«Negli ultimi anni alla narrativa per l’infanzia è stato riservato maggiore spazio. Gli obiettivo di tali opere mirano allo sviluppo affettivo, a quello psicomotorio, cognitivo e a quello della socializzazione all’interno e al di fuori della scuola»
LAUROPOLI - Negli ultimi anni alla narrativa per l’infanzia è stato riservato maggiore spazio dagli editori e più attenzione da parte di autori specializzati alle opere destinate al vasto pubblico dei bambini e dei ragazzi. Gli obiettivo di tali opere mirano principalmente allo sviluppo affettivo, a quello psicomotorio, cognitivo e a quello della socializzazione all’interno e al di fuori della scuola. È questo anche l’obiettivo di Manuela Mastrota col suo Le avventure di Bava, fuga in città. All’autrice abbiamo rivolto alcune domande per approfondire le tematiche trattate.
Lei è pedagogista: in che senso? Sotto quale profilo? Come studiosa o come autrice di testi per l’infanzia? «Mi sono laureate in Scienze dell’educazione e poi specializzata, ho aperto per qualche anno uno studio di consulenza e in seguito ho sempre lavorato e continuato a formarmi sia per accrescere le mie competenze sia per seguire la mia passione quale scrivere storie per bambini, arrivando a pubblicare la mia prima fiaba per il gruppo Albatros il Filo. Penso che nel mio caso le due strade oggi seguano un unico percorso».
Si interessa di genitorialità, della crescita dei bambini e del loro mondo infantile: perché? «L’infanzia è ciò da cui tutto parte, rappresenta la speranza in termini di crescita e futuro. Curarsi dei bambini significa avere a cuore il domani. Spesso i genitori mi chiedono di parlare con i loro figli per intimorirli o sgridarli, non capendo che il vero lavoro va fatto proprio su di loro o meglio su di noi Genitori, quindi se dovesse mai esserci qualcuno da sgridare, quasi certamente non sarebbero i bambini! Sono gli adulti ad essere d’esempio per i propri figli, i bambini/ragazzi in generale, quindi sono le mamme e i papà che necessitano principalmente di supporto, confronto e una guida. Un bellissimo proverbio secondo la quale “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” mette a fuoco quanto serva la collaborazione per prendersi cura di un bambino».
Lei nutre trasporto e curiosità verso il mondo infantile: tali interessi e sentimenti in che modo li estrinseca? «Per avvicinarmi concretamente e con varie iniziative al mondo infantile e incantato dei bambini, ho creato inizialmente un personaggio: “Tata Mancina”. Tata appunto riferito alla cura e Mancina perché sono mancina. Grazie a lei, tra le altre cose, ho iniziato a leggere per i più piccoli e spesso indossando un abito un po' fatato che aiuta loro e me nel proiettarci maggiormente nel mondo magico delle fiabe».
Ritiene che i suoi interessi letterari per i più piccoli possano coincidere con le esigenze cognitive dell’universo infantile? In che modo, in quale misura e perché? «Penso proprio di sì e soprattutto me lo auguro. Quando vogliamo comunicare con qualcuno, chiunque esso sia, dobbiamo necessariamente parlare la stessa lingua, usare lo stesso codice comunicativo. Usare un linguaggio “fiabesco” introdurre fate, mostri, ambienti fantastici, colorati ecc... ci permette di proporre argomenti, esempi e mi sia permesso il termine, importanti lezioni da trasmettere. Soprattutto per relazionarci con i più piccoli dobbiamo imparare a prenderci meno sul serio».
Secondo lei l’incrocio tra il mondo incantato dell’infanzia e lo studio delle scienze pedagogiche possa aiutare i piccoli nel loro sviluppo psichico, fisico ed umano? Perché? Ne ha avuto conferma sperimentale? «Assolutamente sì; attraverso le fiabe il bambino si identifica con i personaggi, si cala nelle varie situazioni, conosce il male e il bene che si incarnano nei più svariati personaggi. Lo psicoanalista Bruno Battelheim analizza il significato psicologico della fiaba raccomandandone proprio l’uso a genitori ed educatori».
Ai fini dei suoi interessi culturali e professionali ritiene di essere più brava come docente, autrice di fiabe per l’infanzia o per qualche altra specificità? «Come maestra penso di avere ancora molta strada e spero di poter crescere ogni giorno apprendendo dai miei colleghi e traendo da ogni esperienza il più possibile. Un’esperienza lavorativa che mi ha davvero formata e cambiata umanamente, è stato lavorare in una struttura per minori abusati e maltrattati; mettersi alla prova quotidianamente con certe dinamiche ti dà la possibilità di dare la giusta importanza a molte cose che purtroppo diamo per scontate. Come autrice lascio che la passione e l’ispirazione facciano il loro corso, la cosa migliore per riuscire in qualcosa è ascoltarsi e seguire le proprie tendenze in modo pulito e sincero. Poi mi auguro che il campo in cui io possa riuscire al meglio sia quello di mamma».
Al termine di Le avventure di Bava, qual è l’obiettivo didascalico per i suoi giovanissimi lettori? «Vorrei che come Bava, ogni lettore possa “vedersi” realmente e accorgersi di possedere già tutto il necessario per essere sereni, di avere una dote speciale una caratteristica unica e irripetibile e puntare su quella. Siamo costantemente alla ricerca della felicità finendo proprio per perderci in viaggi interminabili e spesso vuoti. Alcune volte è sufficiente fermarsi e sviluppare semplicemente ciò di cui già siamo in possesso».
La Tata Mancina. Come è stata accolta dai piccoli lettori? «Tata Mancina è sempre accolta con molto entusiasmo, mi piace osservare lo stupore sul volto dei piccoli».
Dopo aver somministrato ai “piccoli lettori” le sue pubblicazioni ne verifica la “comprensione” del messaggio educativo? In che modo? Con quali risultati? «In realtà il libro è uscito a maggio, attendo ancora un po’ per osservare le loro reazioni. Certamente saranno quelle che mi aiuteranno a capire molti aspetti da dover poi approfondire o modificare».
Auguri a Manuela Mastrota per il futuro di autrice e ai suoi giovanissimi lettori e/o destinatari delle fiabe