Basta fannulloni... Occorre senso di responsabilità
In uno degli ultimi editoriali ponevo la questione di come il Governo di centrodestra, con la compiacenza del centrosinistra e delle organizzazioni sindacali, negli anni abbia introdotto le privatizzazioni quale strumento (divenuto poi alibi), in violazione dei diritti costituzionali, utile a procedere a tagli indiscriminati in nome di una fantomatica mancata produttività. E portavo l’esempio delle politiche trasportistiche (stazioni ferroviarie soppresse), sanità (ospedali chiusi), giustizia (tribunale annesso a Castrovillari, energia (centrale Enel dismessa). Sono solo alcuni casi in cui lo Stato ha deciso di arretrare per dare spazio ai privati.
Quindi non vi era un problema di produttività (considerato che gli imprenditori guardano al profitto, come è giusto che sia) dal momento che il privato ha inteso investire in settori in concorrenza con il pubblico, ma semplicemente la malcelata volontà dello Stato di cedere, chissà in cambio di cosa, ampie porzioni di mercato. Premesso ciò, mi corre l’obbligo di osservare un’altra realtà che mi espone ad eventuali reazioni da parte di quelle fasce sociali considerate anch’esse deboli: i dipendenti del pubblico impiego che, è indubbio, godono di privilegi rispetto ai lavoratori assunti nel privato. Soprattutto in materia di meritocrazia e di produttività. Nel privato se non produci ti fanno a fette e vieni subito sbattuto fuori, salvo la presenza di protettorati; nel pubblico lo stipendio è garantito, a prescindere dai risultati.
FANNULLONI, IL LAVORO VA TUTELATO MA AD OGNI COSA C'E' UN LIMITE
Ciò rappresenta un’ingiusta sperequazione e viola i principi fondamentali del diritto al lavoro. Che di certo non prevedono privilegi per fasce categoriali. E’ dal principio di fedeltà che occorre partire, che disciplina i rapporti del dipendente pubblico e/o privato incentrati prevalentemente alla capacità di rendimento e di produttività; quando questi elementi vengono meno prende corpo l’assistenzialismo. Per quanto mi riguarda il lavoro deve essere sempre tutelato, ma ad ogni cosa vi è un limite, che si valica spesso per mancanza di buon senso. Capitolo “sanità”: oggi, nella tempistica il privato supera il pubblico per prestazioni in materia di diagnostica.
Per una radiografia o un’ecografia negli ospedali la lista d’attesa va dai tre ai sei mesi (quando va bene!), nel privato nel giro di un’ora si ha persino l’esito. Detto ciò, se da una parte lo Stato incentiva le convenzioni per interessi a volte legittimi (altre un po’ meno), e se la Regione Calabria non interviene con investimenti concreti anche in termini di risorse umane tesi a rafforzare la pubblica amministrazione, appare evidente che la concorrenza è impari. E’ pur vero però, che il personale sanitario pubblico non può né deve avvitarsi attorno all’alibi e/o allo scaricabarile di uno Stato latitante. Ed è qui che sorgono i dubbi.
I SINDACATI DOVREBBERO INTERVENIRE PREVENTIVAMENTE
L’attuale sistema di controllo nel pubblico risulta debole. Oggi l’ufficio Cup – Ticket o gli addetti all’espletamento degli esami diagnostici potrebbero anche rinviare a chissà quando lo svolgimento di una prestazione sanitaria, tanto chi monitora? Chi verifica? Chi controlla? Tre/sei/nove mesi di attesa sono tanti. Si provi ad immaginare se un paziente ha una sospetta neoplasia cosa possa accadere! A quel personale sanitario poco importa se l’utenza si rivolge al privato, tanto lo stipendio arriva lo stesso. Ed è proprio questo sistema che deve cambiare. Maggiore fedeltà nei confronti del datore di lavoro, sia esso pubblico sia esso privato.
E i sindacati dovrebbero intervenire preventivamente, non solo a licenziamento avvenuto, poiché tali comportamenti rischiano di tutelare i “fannulloni” a discapito di chi invece lavora scrupolosamente oppure di quei tanti giovani e meno giovani che vorrebbero un posto di lavoro, oltre al danno erariale arrecato alle casse dello Stato.