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L'enigma dell'amianto continua a frenare la demolizione delle ciminiere ed Enel non vuole spendere più del previsto

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CORIGLIANO-ROSSANO – Lo skyline del nord-est calabrese avrebbe dovuto essere ridisegnato già da mesi, libero dalle imponenti ciminiere gemelle dell’ex centrale Enel di contrada Cutura-Sant’Irene. Il cronoprogramma era chiaro: primo abbattimento entro aprile/maggio 2025, il secondo entro gennaio 2026. Ma la realtà, come spesso accade alle nostre latitudini, si è rivelata più complessa e costellata di interrogativi. Che aumentano ogni giorno di più nel vedere quell’anello metallico sospeso a 200 metri d’altezza, “aggrappato” ad una delle due torri camino, in attesa del dinero necessario a mettere in moto tutto l’ambaradan dei lavori. Il quadro che emerge oggi, però, è sempre più avvolto da una coltre di nebbia, nonostante le rassicurazioni della holding energetica.

L’ultimo aggiornamento di Enel che siano riusciti ad “estorcere” a Enel, parla di «ulteriori studi e approfondimenti» e di «soluzioni tecniche al vaglio» per riprendere i lavori. Un linguaggio cauto, che però non placa i sospetti: c’è l'impressione che un vero e proprio piano d'azione per bonificare e demolire le ciminiere ancora non ci sia. «Negli ultimi mesi - ci dice l'ufficio stampa della società energetica - dopo ulteriori studi e approfondimenti, i tecnici dell’azienda hanno individuato alcune soluzioni tecniche che presto potranno consentire di riprendere le attività di demolizione avviate sulla ciminiera dell’ex centrale di Rossano. In questi giorni si stanno effettuando le ultime e ulteriori valutazioni per individuare, tra queste, la soluzione migliore. A breve verrà, quindi, predisposto un nuovo piano di attività che, ovviamente, prima di renderlo operativo, sarà sottoposto agli enti competenti - concludono - per la necessaria valutazione e autorizzazione».

Un anello sospeso e la “inattesa scoperta” dell’amianto

Era il 26 ottobre 2024 quando Enel e l’impresa specializzata di Bergamo, DeSpe, si presentavano in pompa magna per il “varo tecnico” del gigantesco anello metallico – una gabbia da oltre 30 tonnellate issata a 200 metri d’altezza – che avrebbe dovuto “fare a pezzi” le torri con il metodo “top-down”. L’ingegner Carlo Ballerini, project manager di Enel, aveva rassicurato sulla complessità ma anche sull’innovazione e la sicurezza dell’intervento.

Poi, il silenzio, rotto solo ad inizio di quest’anno. Il 17 febbraio, L’Eco dello Jonio rivelava, grazie alle denunce del segretario comprensoriale della Cgil Tirreno-Sibaritide-Pollino, Andrea Ferrone, il motivo del blocco: la presenza di «più amianto di quanto si immaginasse». Una notizia che ha attivato la cassa integrazione per i lavoratori e sollevato un velo su una problematica ben nota, ma forse sottovalutata nella sua entità. Enel, con una nota del giorno successivo, confermava la sospensione, parlando di «ulteriori analisi» e della necessità di predisporre un «piano di lavoro per la conseguente bonifica amianto».

Il buco nero economico e costi destinati a lievitare

L’amianto, materiale legittimo all’epoca della costruzione della centrale a metà degli anni ’70, è oggi il perno di un’operazione che si annuncia proibitiva per i costi. Se la demolizione delle due ciminiere comportava già di per sé diversi milioni di euro, l’improvvisa e conclamata maggiore presenza di asbesto lastricato farà inevitabilmente lievitare questa cifra in modo esponenziale. La rimozione, lo smaltimento e la bonifica dell’amianto richiedono, infatti, procedure estremamente stringenti, specializzate e, di conseguenza, assai costose.

Ed è qui che si annida il sospetto più concreto: Enel, un colosso che sta affrontando un periodo di crisi economica e con un processo di riorganizzazione in corso, potrebbe avere serie difficoltà a reperire gli ulteriori fondi necessari per lo smantellamento delle due ciminiere, soprattutto in un’area a prospettiva zero. D’altronde, parliamo di una ex centrale che è già stata dismessa e che, almeno per il momento, non rientra in alcun progetto concreto di riqualificazione o riconversione che possa generare profitto per l’azienda. Perché investire cifre esorbitanti in un’area “morta” dal punto di vista produttivo?

La via crucis dei finanziamenti pubblici

La domanda allora è: chi pagherà il conto salato di questa bonifica inaspettata? La via d’uscita più plausibile, e al contempo la più controversa, sembrerebbe quella di cercare un finanziamento pubblico. Una via di fuga a zero investimento per l’azienda e interamente caricata sulle casse pubbliche. Ma anche in questo caso, la strada è in salita. L’esperienza pregressa del sito di Corigliano-Rossano, che ha visto Enel rinunciare a un bando per un progetto sull’idrogeno da 15 milioni di euro pur essendone aggiudicataria, da la misura sulla fiducia e sulla volontà politica di investire ulteriormente in un’area apparentemente priva di una strategia di sviluppo regionale. E questo lo aveva denunciato proprio il segretario Cgil Andrea Ferrone nei mesi scorsi.

Inoltre, il silenzio della Regione sulla vicenda, lamentato dai sindacati, non fa che alimentare il senso di abbandono e di incertezza sul futuro di un sito industriale che è stato per decenni il motore economico e sociale di un intero comprensorio.

Le ciminiere di Corigliano-Rossano, dunque, non sono più solo testimonianze di archeologia industriale, ma sono diventate il simbolo di un enigma economico e politico. La loro demolizione, inizialmente presentata come un passo verso il futuro, rischia di trasformarsi in un onere insostenibile e in un’ulteriore ferita per un territorio che attende risposte e chiarezza. Anche se, le quotazioni sul fatto che quelle due torri camino possano dimorare per sempre sulle spiagge joniche, almeno fino a quando non ci saranno i soldi necessari per bonificare e demolire, aumentano di molto. Del resto, quelle due immense strutture inermi non danno fastidio a nessuno. Anzi, tantissimi cittadini del territorio vorrebbero anche preservarle, magari rendendole un “monumento” instagammabile, togliendo un po’ di utile da un completamento inutile!

 

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.