Il 5 maggio del 1972 la strage del Volo 112 di Alitalia. Un "incidente" ancora fitto di misteri
Molte tesi, alcune delle quali suffragate da dati scientifici, portano all'ipotesi attentato. Oggi sul fatto ritorna Romano Pesalunga, presidente del Coordinamento nazionale dei docenti di Diritti Umani: su quel volo troppe personalità "scomode"
ROMA - Era la notte del 5 maggio 1972 quando l’aereo di linea DC-8 AZ112 dell’Alitalia, in partenza dall’aeroporto di Fiumicino con destinazione Palermo si schiantò improvvisamente su Montagna Longa, un’altura tra Cinisi e Carini, poco prima dell’atterraggio a Punta Raisi.
Quella sciagura venne archiviata come incidente aereo. Ma sono tantissimi i dubbi e le ombre che, ancora oggi a distanza di quasi 50 anni dall’accaduto, si addensano attorno a quell’avvenimento. Per anni l’opinione pubblica si è posta la domanda se davvero ci fosse stato un caso accidentale alla base di quello schianto in cui persero la vita 115 persone: 108 passeggeri e 7 membri dell’equipaggio.
Oggi sulla vicenda è ritornato il prof. Romano Pesavento, presidente nazionale del Coordinamento nazionale dei Docenti della disciplina “Diritti Umani”, che insinua un dubbio: su quell’aereo, in quella notte di primavera che apriva le porte ad un periodo delicato per l’Italia e l Sicilia, viaggiavano troppe personalità “scomode”, impegnate in prima linea nella lotta all’illegalità.
«Quasi cinquant’anni fa – ricorda Pesavento - nei cieli sereni di una Sicilia prossima alle elezioni politiche s’infiammò e abbatté al suolo senza alcuna spiegazione logica un grosso velivolo con 108 passeggeri e 7 membri dell'equipaggio. La strada più facile – precisa - fu quella di attribuire la colpa dell’accaduto a un errore umano. Ovviamente i piloti in questione non poterono smentire una simile versione».
Intanto alcuni particolari inquietanti contornavano la vicenda: «la scatola nera – ricorda ancora Pesavento - che avrebbe dovuto registrare i fatti prima dell’incidente era compromessa da ben cinque giorni e nessuno aveva provveduto a intervenire, come solitamente accade in casi analoghi». Ma quello che più desta il sospetto sul fatto che l’accaduto fu qualcosa di più di un semplice incidente è la lista dei passeggeri. «Molte di queste – dice Pesavento - figure chiave per il contrasto dell’illegalità nel nostro Paese».
Ma chi c’era quella notte sul volo 112 di Alitalia che da Roma viaggiava verso Palermo?
C’era il sostituto procuratore generale di Palermo, Ignazio Alcamo (che aveva disposto il soggiorno obbligato per Francesco Vassallo, costruttore legato al Sacco di Palermo, e Antonietta Bagarella, poi moglie di Salvatore Riina); c’era la segretaria di redazione de L'Ora e Paese Sera, Angela Fais (amica del giornalista Giovanni Spampinato che sarà ucciso 5 mesi più tardi); c’era il comandante della Guardia di finanza di Palermo, Antonio Fontanelli e poi, ancora, il regista Franco Indovina (che all'epoca raccoglieva elementi per un film su Enrico Mattei, con la stessa Fais tra le fonti), l'ex medico di Salvatore “il bandito” Giuliano, Letterio Maggiore (attore esterno del processo sulla Strage di Portella della Ginestra) e il giornalista e attivista del Partito Comunista Italiano, Alberto Scandone.
«Resta da chiedersi – sottolinea Romano Pesavento - se la morte di tante illustri personalità sia la composizione di un mosaico in cui la mafia, i neofascisti e ambienti deviati dello Stato non avessero tramato congiuntamente o meno. Molti dubbi persistono ancora e soprattutto i congiunti delle vittime desidererebbero conoscere i fatti per come si svolsero».
Infatti qualcuno tra loro, Maria Eleonora Fais, sorella di Angela Fais, cercò altre risposte rispetto “all’errore materiale”, respinto sdegnosamente dai piloti dell’aeroporto palermitano in quanto inammissibile per tre colleghi considerati molto abili come quelli deceduti nell’incidente.
Da qui, dopo affannose ricerche, emerse il rapporto del 1977, a cui mai venne dato seguito, del vicequestore Giuseppe Peri, per sedici anni dirigente della Squadra di Polizia Giudiziaria di Trapani, secondo cui si sarebbe trattato di un attentato atto a destabilizzare il clima sociale nazionale e siciliano e il piano avrebbe previsto una detonazione alla fine dell’atterraggio, ma qualcosa evidentemente andò diversamente.
Il fratello di un carabiniere morto nello schianto del DC8, arrivò persino a formulare ipotesi relative a esercitazioni militari NATO nel cielo che avrebbero condotto all’abbattimento del mezzo.
Insomma, misteri su misteri. «Mentre orfani e vedove attendono ancora legittimamente risposte e giustizia è doveroso soffermarsi sulla tragica valenza di un simile drammatico episodio e sostenere con forza il valore della legalità».
«La legalità – chiosa il presidente nazionale del Coordinamento nazionale dei Docenti della disciplina “Diritti Umani” - non va difesa solamente come concetto ideale, come principio; va tutelata perché in sua assenza rischiamo non solo di venire asserviti a poteri deviati, ma si rischia anche la vita. Sullo scenario – conclude - appare ancora una volta l’ombra dell’omertà e anche chi ha parlato non è stato ascoltato».