Il 30 gennaio si chiude la stagione della caccia in Calabria
Le associazioni ambientaliste: «Da parte nostra continueremo, come sempre, a vigilare e a denunciare tutti i pericoli e le minacce che incombono non solo sulla fauna selvatica, ma su tutto il territorio regionale»
COSENZA - «Giovedì 30 gennaio si chiude la caccia in Calabria (abbattimenti di cinghiali a parte), dopo una lunga stagione che si è aperta, in anticipo come al solito, ai primi di settembre e che ha visto la Regione schierarsi apertamente dalla parte dei cacciatori». È quanto dichiarano in una nota congiunta WWF Calabria, LIPU Calabria e ENPA Calabria.
«Infatti - ribadiscono - dopo l’immancabile preapertura settembrina (con i pulcini di colombaccio ancora nel nido), lo si era visto ancora con il prolungamento delle battute al cinghiale di un altro mese, per poi dare vita ad un autentico pasticcio relativo alla mancata sospensione della caccia al 9 gennaio a tre specie di tordi, per come era stato chiaramente stabilito da una sentenza del TAR del novembre scorso in seguito al ricorso delle associazioni WWF, LIPU e ENPA».
«La stessa regione infatti, in maniera a dir poco incauta, con un subdolo comunicato stampa aveva cercato di sfruttare ad uso e consumo dei patiti degli spiedi di Tordi, le recenti modifiche dell’articolo 18 della legge 157/92 in sede di approvazione della legge di Bilancio. Ebbene, nonostante altre due ordinanze del Consiglio di Stato a favore delle associazioni ambientaliste e quella dello stesso TAR Calabria che nuovamente aveva ribadito l’esecutività della chiusura anticipata al 9 gennaio, la Regione, come se nulla fosse, non ha dato nessun seguito alle determinazioni dei giudici, alla stregua di carta straccia. Da sottolineare che in altre due occasioni (Umbria e Marche) i TAR si erano espressi in maniera analoga, così come ha fatto l’avvocatura regionale delle Marche, con le regioni che si erano opportunamente adeguate, a differenza della Calabria, alle decisioni dei giudici amministrativi».
«Un atteggiamento, quello calabrese, arrogante e del tutto irresponsabile, tanto da spingere il presidente del Wwf, Luciano Di Tizio, sostenuto da Lipu ed Enpa, a inviare una lettera al ministro all’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, diffidando il Presidente della Regione Calabria e invitandolo "ad adottare ogni misura idonea a comunicare la vigenza del regime di divieto dell’attività venatoria alle specie tordo bottaccio, tordo sassello e cesena, in coerenza con quanto disposto dalla magistratura amministrativa. In caso contrario, le associazioni si riservano di adire le competenti autorità giudiziarie e di segnalare la situazione alla Corte dei Conti per la verifica di eventuali profili di responsabilità amministrativa e contabile, tenuto conto del danno ambientale ed erariale già realizzatosi a causa della illegittima prosecuzione dell’attività venatoria a partire dal 10 gennaio"».
«Tutto ciò accade in un territorio, quale quello calabrese, afflitto da una cronica e preoccupante carenza di vigilanza venatoria: un autentico incentivo alle attività di bracconaggio. Da parte nostra continueremo, come sempre, a vigilare e a denunciare tutti i pericoli e le minacce che incombono non solo sulla fauna selvatica, ma su tutto il territorio regionale. Dall’inquinamento marino e dei corsi d’acqua, alla cementificazione delle coste, dalla tutela della flora spontanea, alla difesa del nostro patrimonio boschivo ecc. ecc. Per questo, e per mille altre ragioni, restituiamo ai cacciatori il richiamo, a mo’ di alibi puerile, all’esistenza di problemi ambientali più grandi a cui noi dovremmo badare. Quegli stessi problemi che loro forse pensano di risolvere sparando ai tordi (e non solo)».