Unical, La Chiesa contro le mafie. Monsignore Checchinato al corso di Pedagogia dell’Antimafia
«Se nel Gran Ghetto di Torretta Antonacci, si susseguono incendi che stroncano la vita di gambiani, lavoratori sfruttati da caporali senza scrupoli, un vescovo non può far finta di nulla, allargare le braccia sconsolato e tornare in sagrestia»
RENDE - Giovanni Checchinato, Arcivescovo metropolita di Cosenza-Bisignano, incontrerà, venerdì 12 aprile, alle ore 9.30, gli studenti e le studentesse di Scienze dell’Educazione e Scienze Pedagogiche dell’Unical per parlare dell’impegno della Chiesa nel contrasto alle mafie e nella promozione di una pedagogia del cambiamento.
Il presule nativo di Latina partirà dalla sua esperienza vescovile a San Severo nel Foggiano (2017-2022) raccontata nel libro “Omelia per gli invisibili. La storia di un vescovo dove cresce la quarta mafia”, per i tipi di Mondadori, che narra l’attività della diocesi locale contro la criminalità organizzata dell’area garganica.
L’incontro con Monsignor Checchinato sarà aperto dai saluti istituzionali di Roberto Guarasci, direttore del DiCES, di Ines Crispini, coordinatrice del Corso di Studio in Scienze dell’Educazione (modalità mista), di Rossana Adele Rossi, coordinatrice del Corso di Studio Unificato in Scienze dell’Educazione e Scienze Pedagogiche. Giancarlo Costabile, docente di Antimafia, introdurrà e coordinerà la tavola rotonda.
Il seminario rientra nelle attività di formazione critica alla democrazia che sta promuovendo da anni il progetto Barbiana 2040, rete nazionale di scuole che attualizzano la metodologia di don Lorenzo Milani e della Scuola di Barbiana.
Omelia per gli invisibili - «Se un cristiano va in chiesa per pregare Dio perché gli vada bene una rapina, c’è qualcosa che non funziona». Se in dieci giorni muoiono in due incidenti stradali sedici immigrati, se nel Gran Ghetto di Torretta Antonacci, a pochi chilometri da San Severo, si susseguono incendi che stroncano la vita di gambiani, senegalesi, camerunensi, lavoratori sfruttati da caporali senza scrupoli, un vescovo non può fare finta di niente, allargare le braccia sconsolato e tornare in sagrestia.
«Quando sento il termine “ormai”, mi inquieto. È un sinonimo di disfatta, di rinuncia preventiva di fronte alle difficoltà, dice don Giovanni Checchinato, a cui è capitato di fare il vescovo in una terra dove esiste un potere criminale che hanno chiamato «quarta mafia». È un sistema di associazioni criminali che controlla la Capitanata e la provincia di Foggia con estrema crudeltà, gestendo il traffico di stupefacenti, la prostituzione, il racket delle estorsioni, l’organizzazione di furti e rapine e infiltrandosi nella pubblica amministrazione.
Il mondo della mafia e quello degli immigrati sono apparentemente lontani, ma hanno un punto in comune: sono entrambi invisibili. I mafiosi, da una parte, non vogliono farsi identificare, pur utilizzando tutti gli strumenti possibili, anche le nuove tecnologie, per ottenere un consenso sociale. Dall’altra, le persone provenienti da molti paesi africani che arrivano in Puglia per lavorare preferiscono vivere in una baracca, lontano dai centri abitati e in condizioni terribili, pur di sentirsi accettati dagli altri del ghetto, piuttosto che in una casa vera e propria ma discriminati in città.
Don Gianni, come lo chiamano a San Severo, si rivolge a tutte queste persone, senza essere barricadero o istrionico. Lo fa chiamando le cose con il loro nome, convinto che, per rendere la lotta alle mafie una cosa normale, si debba cominciare da qui.