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Il Buco dell'ozono si sta chiudendo modificando la circolazione atmosferica

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DI MARTINA CARUSO

La chiusura del buco nell’ozono si deve alla messa in atto degli accordi siglati a Montreal nel 1987, che ridussero significativamente produzione ed emissione dei famigerati clorofluorocarburi, sostanze che “rompono” le molecole di ozono assottigliando così il nostro schermo atmosferico. Serviranno ancora molti decenni per poter "guarire" del tutto, ma questa è sicuramente una buona notizia. Dal momento che l'ozono stratosferico funge da schermo protettivo dalle radiazioni più energetiche e pericolose per la vita provenienti dal Sole e dallo Spazio, la progressiva chiusura del buco dell’ozono sta cambiando significativamente la circolazione atmosferica, in particolare nell’emisfero australe. E' quanto emerge da studio coordinato da Antara Banerjee insieme ad un team di ricercatori e pubblicato sulla rivista Nature. Prima del 2000, la corrente a getto polare risultava più forte e racchiusa intorno al Polo Sud e la carenza di ozono in stratosfera aveva infatti favorito un ulteriore raffreddamento della stessa; dal 2000 in avanti questo trend si è interrotto e in parte invertito, ovvero con un 'rilassamento' parziale del vortice polare antartico: «È come se avessimo svoltato l’angolo, questo studio rappresenta il passo successivo, quando si iniziano a vedere gli effetti di questo recupero sul clima», commenta al New Scientist Martyn Chipperfield, un esperto della University of Leeds (non coinvolto nello studio). E' fondamentale comprendere quanto i cambiamenti climatici dipendano dalle emissioni dei gas serra e quanto dalle variazioni dello strato di ozono stratosferico, e, quindi, agire di conseguenza. Proprio per questo, continuando a comportarci bene, gli scienziati hanno calcolato che alle medie latitudini dell’emisfero boreale si tornerà ai livelli del 1980 entro il 2030; per avere lo stesso effetto alle stesse latitudini dell’emisfero australe bisognerà invece aspettare il 2050. In ultimo si chiuderà anche il buco sull’Antartide, ma non prima del 2060.      
Redazione Eco dello Jonio
Autore: Redazione Eco dello Jonio

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