Di ROSSELLA MOLINARI Sono più di cinquanta le donne che, in quasi tre anni, si sono rivolte al Centro Antiviolenza “Fabiana” di Corigliano, chiedendo aiuto e assistenza per venir fuori da situazioni tanto complesse quanto delicate in cui, spesso, si rischia di precipitare in un vortice sempre più pericoloso. Sono donne che hanno trovato il coraggio di reagire e di denunciare, ma c’è ancora tanto da fare sul piano culturale, poiché «il principale nemico di una donna che subisce violenza è il suo stesso silenzio». Sono emblematiche le parole del dottor Antonio Gioiello, psicologo e presidente dell’associazione Mondiversi che tre anni fa, mentre era già in itinere il progetto, diede maggiore spinta alla creazione di un Centro Antiviolenza in seguito alla tragedia di contrada Chiubbica, dove venne uccisa la piccola Fabiana Luzzi.
Il Centro, nato ad ottobre di quello stesso 2013, porta il suo nome e opera a sostegno di tutte le vittime di violenza. Violenza che si può manifestare sotto molteplici forme, da quella fisica e sessuale a quella psicologica, dando vita a una situazione di costrizione e di paura da cui, il più delle volte, non è semplice venir fuori. E ancora oggi, nonostante i tanti casi, eclatanti e meno eclatanti, riportati dalla cronaca, le “resistenze” permangono. «Siamo ancora agli inizi ‒ dichiara il dottor Gioiello ‒ e anche se oggi se ne parla sempre di più, resta molto da fare».
L’omicidio di Fabiana si consumò mentre il Parlamento italiano ratificava la Convenzione di Istanbul, il che diede l’avvio anche nella nostra nazione ad una serie di iniziative contro la violenza sulle donne. «Fu una tragica coincidenza ‒ ricorda il presidente di Mondiversi ‒ da quel momento, l’Italia, che arrivava con ritardo, iniziò ad attrezzarsi». Spesso, quando si parla di questa tipologia di fenomeno, il rischio di cadere negli stereotipi è alto e si fa fatica ad accettare che nella società del Terzo Millennio resistano ancora retaggi culturali circa la parità di genere. Eppure, in molti casi, è proprio così. «Il fenomeno
‒ spiega Gioiello ‒ è di origine culturale, gli atti commessi per raptus o patologie sono molto rari. Noi proveniamo da una cultura greco-romana prettamente patriarcale e c’è ancora tanto da fare sul piano dell’uguaglianza uomo-donna. Ciò che meraviglia è che spesso lo si riscontra anche nelle giovani generazioni. Oggi non c’è più il delitto d’onore, ma spesso le motivazioni di fondo sono le stesse». Da qui l’importanza delle iniziative didattiche sulla parità di genere tese a superare quegli orientamenti che ancora oggi non considerano paritario il rapporto uomo-donna. Oltre a questo, vi sono altri aspetti da considerare, quali la volontà di controllare l’altro, le sue scelte e il suo comportamento, e il non accettare che un rapporto possa interrompersi. «Se c’è la combinazione di questi due elementi ‒ prosegue Antonio Gioiello ‒ ossia la voglia di sopraffare l’altro e l’eventualità di una separazione, si crea quel corto circuito che può rivelarsi fatale. Ma prima di questo, però, si è agito in mille modi, con violenza fisica e psicologica». I segnali ci sono e non vanno ignorati né sottovalutati. Per questo motivo,
diventa importante l’attività di sensibilizzazione, che induca chiunque sia vittima di una qualsivoglia forma di violenza a non restare in silenzio. «Se si comincia a parlarne e a confrontarsi con gli altri ‒ spiega il presidente di Mondiversi ‒ ci si accorge di quanto sia assurda la relazione che si vive e si è ancora in tempo per evitare che possa scivolare in una violenza più distruttiva». Spesso si è frenati dalla paura, compresa quella di andare incontro a “esplorazioni” anche sul proprio stile di vita: «A volte può capitare ‒ va avanti Gioiello ‒ che ci si interroghi sul comportamento della vittima, sul suo stile di vita. Ma questo non c’entra nulla con il suo diritto di non essere abusata né violentata». Altre volte, la difficoltà maggiore deriva dal fatto che ad esercitare violenza sia una persona alla quale si è legati sentimentalmente, altre ancora vi sono minacce e intimidazioni che incutono paura. «Ma, torno a dire, ‒ conclude ‒ il nemico principale resta sempre il silenzio». Intanto, qualcosa inizia a muoversi e le donne cominciano a chiedere aiuto.
Sono già più di cinquanta quelle che hanno chiesto l’assistenza del Centro Antiviolenza “Fabiana” di Corigliano. Sono donne provenienti da zone di tutto il comprensorio, come ci illustra la dottoressa Luigia Rosito, assistente sociale, di ogni fascia d’età, italiane e straniere. Il fenomeno coinvolge un po’ tutti gli strati sociali e presenta sfaccettature diverse. «Sono donne che hanno subito e in alcuni casi continuano a subire vari tipi di violenza: fisica, sessuale, stalking, psicologica, economica. Noi cerchiamo di offrire tutto l’aiuto possibile in base alle loro esigenze». Nel ricordare che si può contattare il centro antiviolenza con tutte le garanzie di privacy
(tel. 1522 ‒ 0983/031388, pagina Facebook), chiediamo quali sono i servizi offerti. «Si tratta ‒ illustra Luigia Rosito ‒ di servizi gratuiti: accoglienza, sostegno sociale, psicologico e, se è necessario, anche legale. Oltre a questo, svolgiamo opera di sensibilizzazione negli istituti scolastici contro la violenza di genere, pubblichiamo e divulghiamo opuscoli e organizziamo corsi di formazione anche per operatori esterni afferenti a enti pubblici e privati».