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Il Corso di Cariati si riempie di immigrati: non interagiscono e fanno paura. Commercianti e residenti sul piede di guerra

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CARIATI – Cariati come Kinshasa. Da più di due settimane il corso della città pullula di immigrati. Sono giovani arrivati con gli sbarchi e che hanno trovato alloggio presso il Seminario di Porta Pia grazie ad un accordo tra la Diocesi di Rossano che ha messo a disposizione l’immobile e le cooperative sociali Fo.Co e Mi.Fa responsabili della gestione dell’accoglienza.

Bene dare asilo, ma oltre al vitto e alloggio ci deve essere di più. Vedere questi giovani "ciondolare" per le vie del centro senza uno scopo, un obbiettivo e senza avere delle attività nelle quali impiegare il proprio tempo, inizia a preoccupare commercianti e residenti. Si è fatto portavoce di questo malumore diffuso Aldo Fortino, ex delegato cittadino come responsabile del centro storico.

«Quello che chiediamo – spiega Fortino – è un progetto di integrazione, delle iniziative che possano tenerli impegnati per evitare noia e strani pensieri. Sono giovani – scende nel dettaglio -, sappiamo tutti le criticità legate all’adolescenza e alle fasi di sviluppo. Lontani da casa e dalle famiglie (sono non accompagnati, ndr), possono diventare anche facili prede di circuiti poco raccomandabili ed essere strumentalizzati per attività illecite».

Le coppie e le giovani ragazze, dopo il loro arrivo massiccio, iniziano a passeggiare sempre meno lungo il corso. Insomma, a detta di Fortino e di quanti hanno delle attività nella zona, il borgo, sul quale per anni si è svolto un lavoro di riqualificazione e si è tentato di rendere nuovamente vivibili attraverso alberi e panchine anche quei punti più abbandonati dove non voleva passare più nessuno, con la presenza di questi nuovi arrivati rischierebbe di ripiombare in uno stato di abbandono.

La domanda allora è d’obbligo. Lei sostiene che gli immigrati siano una minaccia per il vostro Comune?   

«No - risponde l’ex responsabile per il centro storico -. Il punto è che sono settimane che osserviamo questi ragazzi scendere in strada dopo pranzo per gironzolare senza meta e senza scopo. L’accoglienza – per la quale in questo caso sono stati stanziati i fondi FAMI, il fondo asilo migrazione e integrazione – deve essere accompagnata da un reale processo di inserimento nella comunità che ospita. Ad oggi non ho visto nessuna attività concreta».

Quindi l’accento sulla necessità di renderli veramente parte integrante del Comune. «Potrebbero metterli al fianco di qualche nostro artigiano per imparare un mestiere - prosegue l’ex delegato -  oppure farli diventare socialmente utili occupandosi dei giardini e degli spazi verdi».

Per Fortino dunque, quella attuata a Cariati con questi ragazzi, non è accoglienza ma semplicemente un parcheggio di esseri umani a caro prezzo. In primis a danno degli immigrati stessi, che senza un posto nella società difficilmente riescono ad integrarsi e a vivere un’esistenza degna, e poi a scapito di commercianti e residenti che, arrivati al corso, vedono questa fiumana di gente abbandonata a sé stessa.

Il palazzo del Seminario, dove trovano alloggio questi immigrati, fa parte di un progetto finanziato dal Ministero dell’Interno, Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione tramite i fondi FAMI di cui sopra, per la durata di 30 mesi, che prevede l’accoglienza di 50 minori stranieri non accompagnati, di cui 30 nella struttura del Seminario e 20 nello stabile di proprietà della Fondazione Santa Maria delle Vergini di Cosenza. 

Valentina Beli
Autore: Valentina Beli

“Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare” diceva con ironia Luigi Barzini. E in effetti aveva ragione. Per chi fa questo mestiere il giornalismo non è un lavoro: è un’esigenza, una passione. Giornalista professionista dal 2011, ho avuto l’opportunità di scrivere per diversi quotidiani e di misurarmi con uno strumento affascinante come la radio. Ora si è presentata l’occasione di raccontare le cronache e le storie di un territorio che da qualche anno mi ha accolta facendomi sentire come a casa. Ed io sono entusiasta di poterlo fare