Nella Valle del Trionto è vietato sentirsi male: senza strade e presidi medici soccorsi impossibili
La particolare situazione di emergenza venutasi a creare dopo il crollo del viadotto della Sila-Mare imporrebbe di istituire un presidio medico permanente. La telemedicina: una soluzione, ma non basta. Un pronto soccorso da campo?
LONGOBUCCO – Il crollo del viadotto della Sila-Mare non ha fatto altro che riaprire la grande questione della Valle del Trionto, una piaga che gronda sangue da quasi mezzo secolo. E che non riguarda solo la fragilità delle vie di comunicazioni ma abbraccia una serie di problemi che vanno dalla fragilità del sistema idrogeologico alla carenza impressionante di servizi. Servono soluzioni immediate per garantire ai cittadini di quell’area l’accesso ai diritti fondamentali. Uno su tutti: il diritto alle cure per le patologie tempo-dipendenti (infarti cardiaci, ictus, traumi maggiori, sepsi, etc.).
Le “fondamenta” dei piloni di quel ponte, che si sono sgretolate come un castello di sabbia sotto la piena del fiume, hanno insinuato l’atroce dubbio sulla sicurezza di quella strada che da Longobucco scende verso valle attraversando una infinita di viadotti. E se fossero tutti in condizioni precarie? Un dilemma che non sta solo nella percezione di chi quella strada la percorre tutti i giorni ma anche e soprattutto nei quadri tecnici di Anas che, per precauzione e in attesa di completare tutte le perizie statiche, ha chiuso preventivamente il nuovo tracciato anche nel tratto a monte.
Il traffico da e per Longobucco ad oggi è dirottato sulla vecchia Statale 177, quella stessa strada che venne “sostituita” a sua volta dalla nuova Sila-Mare proprio per le sue condizioni di precarietà strutturale, afflitta com’era (e com’è) dal pericolo frane e smottamenti. Percorrerla è un azzardo, un rischio che si prendono i cittadini per rimanere connessi con il mondo. E la percorrono anche i mezzi di soccorso che per raggiungere l’ospedale più vicino (il “Giannettasio” di Corigliano-Rossano) adesso impiegano un’ora e dieci minuti. Insomma, a Longobucco e nella Valle del Trionto è vietato sentirsi male e i tempi massimi di intervento (i 18 minuti stabiliti dai LEA) sono una chimera. Non che prima le cose andassero meglio ma ora la situazione è nettamente fuori controllo.
Che si fa? L’emergenza Covid ci ha insegnato che in casi di estrema necessità è possibile attivare delle soluzioni straordinarie. E, se necessario, attivare anche la Protezione Civile e l’Esercito italiano per sopravvenire a situazioni critiche. Tutti ricordiamo gli ospedali da campo. Ecco, Longobucco e la Valle del Trionto, oggi si trovano in una di queste situazioni litimite, paradossali. Dal punto di vista sanitario – che è l’impellenza più urgente – nel contingente questa è l’area più depressa della Calabria: isolata dal mondo, senza strade e da tempo sprovvista di presidi sanitari (pochi medici di base e guardie mediche chiuse).
Al netto della riorganizzazione sanitaria territoriale che pure dovrà esserci, si attivasse, ora e subito, un pronto soccorso da campo in modo che, anche con il supporto della telemedicina, chiunque in quelle zone interne dovesse accusare una qualsiasi patologia tempo-dipendente e in una situazione oggettivamente emergenziale, possa essere curato. Soprattutto nelle ore notturne.
È una questione di estremo buonsenso.