di LENIN MONTESANTO Se c’è, oggi più di ieri, un’unità di misura attendibile della profonda crisi politica in cui versa il Paese è quella della ricerca e della verifica dei risultati. Ed a 67 anni dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica se c’è un risultato purtroppo certo quanto pessimo, del quale non si può far finta di nulla, quanto meno per la sua diffusione trasversale ed intergenerazionale, è quello della sfiducia pressoché totale dell’elettorato rispetto alle proprie classi dirigenti. Nazionali e locali, condominiali incluse! Al di là della fotografia periodica dell’affluenza alle urne, il cui costante calo da solo dice già abbastanza, il vero campanello d’allarme resta un altro. Quello dell’insofferenza popolare, ormai incontenibile, ad almeno due indizi ciclici: 1) il troppo tempo che passa spesso tra l’elezione dei propri rappresentanti territoriali ed una prima verifica dell’efficacia del nuovo ruolo assunto e delle capacità personali dell’eletto; 2) la logorrea ed il presenzialismo mediatici su qualsiasi argomento, o viceversa il mutismo, in entrambi i casi, tuttavia, progressivamente sganciati – il vero dato è questo – dalle istanze e dalle esigenze reali del bacino elettorale di riferimento. Con queste premesse, al netto del gap tra percezione e realtà, il rischio di diventare presto impopolari, anche ingiustamente e nonostante elezioni trionfalistiche, non risparmia quasi nessuno. Va letto forse in questa cornice il vivace dibattito regionale, all’interno del
Pd ma soprattutto in mezzo alla gente fuori nelle piazze, su questi ormai primi cinque mesi dalla vittoria quasi plebiscitaria di
Mario Oliverio. Da una parte, lo stesso Oliverio aveva intuito e condiviso con l’opinione pubblica, molto tempo prima delle elezioni, la quasi ineluttabilità della sua passeggiata verso
Palazzo Alemanni. Dall’altra, ad un protagonista come lui degli ultimi quarant’anni di storia regionale, non sarà sfuggito mai un attimo che ci si sarebbe comunque imbattuti, quand’anche armati di una forte dose di spirito di servizio, in una delle più complicate e difficili pagine politiche ed istituzionali della Calabria. E del resto, quella che sta giocando in queste settimane il Presidente della Giunta Regionale, sempre più convinto della necessità di dover stimolare una vera e propria rivoluzione nei metodi e nei contenuti, è una partita epocale. Non è soltanto, come pure in tanti si ostinano a ripetere, una guerrilla interna al Partito di Renzi, a correnti alternate. Così come non è soltanto il governo, in alcuni momenti percepito come impossibile, di quella che viene considerata la pesantissima eredità della giunta regionale di centrodestra. E non è neppure soltanto – c’è chi tenta di ricostruirla ogni giorno – la presunta fitta rete di accordi pre-elettorali che Oliverio oggi non riuscirebbe a tenere sotto controllo. Certamente, nel cocktail quotidiano del Governatore ci sono tutte queste ipoteche più – attenzione – quella mostruosa e peggiore delle altre, di un apparato burocratico sostanzialmente acefalo ed indomabile se non a calci (e che ben vengano!). Ma è la consapevolezza, che sicuramente c’è nel Presidente, di ritrovarsi all’ultima seria occasione di inversione di rotta per la Calabria, che spiega tante cose. Anche qualche ritardo. Anche qualche silenzio. Ed anche qualche apparente tentennamento su quando e su quale marcia ingranare. Il tempo tuttavia stringe. Il primo semestre di governo è alle porte. Dell’estate, tra l’altro. E con un carico di emergenze che preoccupano tutti e come mai prima. Ma il tempo delle verifiche e delle corrispondenze (non quelle di Baudelaire!), nell’epoca dei pensieri corti e delle disillusioni a Km0, stringe e scorre per tutti. Anche per i nuovi arrivati a
Palazzo Campanella, come
Giuseppe Graziano, divenuto l’unico, affidabile riferimento in consiglio regionale per un territorio vastissimo: la
Sibaritide e il
Pollino. Il primo fatidico semestre scatterà anche per il Generale e per quanti, in uno dei suoi bacini elettorali più importanti, l’
area urbana Corigliano-Rossano, attendono risposte, segnali, indicazioni ed anche qualche presa di posizione più chiara. Netta. A partire, ovviamente, dal e sul quadro politico sempre più vivace e complicato che sta delineandosi nella Città del Codex, ad un anno dalle amministrative e con lo storico centrodestra locale ormai spaccato in due (il sindaco Giuseppe Antoniotti da una parte, Ernesto Rapani dall’altra). Ma anche e soprattutto alla luce di quanto prodottosi in questi ultimi anni, come conseguenza di una interminabile serie di errori e disattenzioni da parte di chi avrebbe dovuto e potuto rappresentare meglio la Città e tutto il territorio. Insomma, anche in questo caso, che sia di continuità o di rottura col passato, a Graziano così come ad Oliverio, dal basso si chiede di battere un colpo. E di farlo prima che gli umori e le sensazioni si trasformino in convinzioni.