Non voleva essere una provocazione. Però alla fine lo è stata. Il nostro articolo di ieri su quanto è difficile, oggi, trovare persone che abbiano voglia di lavorare (soprattutto in quei settori di manovalanza e sudore), ha suscitato apprezzamenti ma ha sollevato anche il coro degli indignati. Partiamo dal dato – inconfutabile – che quello che abbiamo scritto, nella logica aritmetica, è pura e sacrosanta verità. Che poi possa essere una cosa che non piace quello è un altro paio di maniche. Ma, questo, non dipende assolutamente da noi. Anzi. Ci siamo soffermati a commentare un dato, dicevamo – e alzi la mano chi può smentirlo – che riguarda le tante proposte di lavoro andate “inevase” durante l’ultima estate. Una carenza di forza lavoro (e l’abbiamo ipotizzato) che probabilmente è derivata dall’introduzione del reddito di cittadinanza che sicuramente oggi potrebbe aver creato questa sacca di allontanamento dal lavoro. E non ne abbiamo fatto una colpa ad alcuno se non a chi (nel caso specifico al governo) con l’introduzione del reddito di cittadinanza non ha pensato di varare una nuova politica nazionale per l’occupazione. Che consenta a chi è fruitore del sussidio di trovare un lavoro entro un determinato periodo di tempo. È assai normale, anche se non universalmente condivisibile, per chi ha un’entrata sicura mensile sfruttare questa scia. E questa non è un’idiozia. La levata di scudi e la critica, però, l’abbiamo registrata su un’altra questione, altrettanto importante. Probabilmente più importante dello stesso dato che ci siamo limitati ad evidenziare e commentare nell’articolo di ieri: la presenza ormai costante di sfruttamento che c’è nel mondo dell'occupazione che riguarda il nostro territorio e nella nostra Città. Un mare di lavoro sommerso, sottopagato, sfruttato, contro il quale è giusto e condivisibile ribellarsi È una battaglia contro la quale ci schieriamo apertamente. Lo abbiamo fatto e lo continueremo a fare. E ci fa piacere che si è trovata l’occasione giusta per sollevare pubblicamente, anche attraverso le nostre pagine social, questa condizione aberrante. Ed il nostro invito è quello di continuare a reiterare le denunce nelle opportune sedi giudiziarie contro quei datori di lavoro che, invece di dipendenti, al loro servizio vorrebbero schiavi. Nei commenti all’articolo – che abbiamo registrato con attenzione e grande piacere – abbiamo letto di cose che accadrebbero, del tutto abominevoli, e che bisogna avere il coraggio di denunciare tutti insieme. Ovviamente, essendo capaci di non fare - per parafrasare qualche commento – di tutta l’erba un fascio. Ci sono datori di lavori e datori di lavoro. Ci sono imprenditori e ci sono anche prenditori. Allora, con coraggio – ribadiamo -, è giustissimo denunciare chi fa firmare buste paga false chiedendo indietro "in contanti" il di più dato con assegni e bonifici. E, viceversa, bisogna dare merito anche a tutte quelle persone che danno lavoro, ogni giorno, rispettando quelli che sono i contratti, le tabelle e gli oneri dovuti allo Stato. Non bisogna generalizzare. Non è corretto farlo. Il ruolo di un giornale è quello di aprire il dibattito, di stimolarlo e provocarlo, e soprattutto di dare spazio alla democrazia. E toccando questo nervo scoperto crediamo di averlo fatto. «Se poni una questione di sostanza – diceva il giudice Falcone - senza dare troppa importanza alla forma, ti fottono nella sostanza e nella forma». Allora, dobbiamo cercare di dare forma e sostanza. Ecco, quindi, che occorre essere tutti parte di uno stesso gioco per sollevare le porcherie che si consumano quotidianamente alle spalle dei lavoratori. Resta il fatto, però, che se non avessimo dato sfogo a questa notizia nessuno, probabilmente, avrebbe detto nulla.