Verba Volant- Presenza digitale
Sento spesso una frase, che poi mi resta in testa per giorni, che mi fa riflettere: "Se non sei sui social non esisti". Sembra un paradigma inamovibile, ma si dovrebbe aggiungere il pensiero: "In che modo si deve essere presenti online?"
Verba Volant è un luogo digitale dove analizzare piccoli squarci di mondo, o far esplodere atomi di tempo con pensieri e divagazioni cerebrali, o ancora raccontare la bellezza nascosta del talento che si nasconde dietro una maschera di sapienza artigianale vista come scontata. In questa rubrica ho deciso, concordando anche con il mio direttore, di lasciar fuori la politica. Non che non ci sia luce su quei palchi, o che non ci siano attori da raccontare, anzi, sarebbe un esercizio di stile dal quale si potrebbe solo crescere, ma non è il mio tempo, non è la mia vocazione e, più di ogni altra cosa, non è il campo da gioco sul quale voglio confrontarmi.
Con l'avvicinarsi delle elezioni però, sto assistendo ad una meteora di apparizioni social, che ha centrato in pieno il mio campo di gioco: lo storytelling nei luoghi digitali.
Qualche anno fa, ma ancora oggi, la frase "se ormai non stai sui social, non sei nessuno", veniva usata soprattutto dalla piccola e media imprenditoria, che si avvicinava alla comunicazione digitale. Ho sempre creduto che frasi così pesanti, dense e pompose, dovessero creare in me una miscela di rabbia e tenerezza. E ancora oggi è così, anche se l'evoluzione di questa frase è diventata "Se non sei su Tik Tok, non prendi i giovani".
Non so quanti di voi lettori abbiano confidenza con questo nuovo social, probabilmente pochi o probabilmente tutti, ma vi assicuro che in questa settimana, sono apparsi dei nuovi influencer-politici-digitali. I volti delle campagne di comunicazione politica infatti, riempiono i feed dei social, con modi altisonanti o costruiti, copioni scritti da trentacinquenni che ancora fanno difficoltà a capire le dinamiche di Tik Tok e poi ancora con frasi da giovane tentennanti e toni di voce da comizi di piazza.
Ritornano quindi la rabbia e la tenerezza.
La rabbia nasce dall'idea che possa esserci ancora qualcuno che pensi al vecchio motto "l'importante è che se ne parli". Non credo sia concepibile saltare completamente non solo l'idea di reputation che i social si portano dietro, ma anche la responsabilità civile che un grande pubblico porta intrinsecamente con sè.
Poi arriva la tenerezza: parlare ai giovani, secondo questi grandi gruppi di comunicazione e secondo questi candidati, evidentemente significa sfondare la porta di un luogo digitale, senza chiedere permesso e imponendo i loro toni di voce, e pensare soprattutto di dover essere leggeri o superficiali. Vi capiterà di trovare politici che su Tik Tok raccontano barzellette, o di trovare politici che si scusano perchè non sanno ballare o non conoscono tutorial di make-up. Se siete su altri social, vi capiterà di trovare politici che condividono i meme che sono stati creati sulle loro stesse campagne elettorali, scambiando l'ironia con la superficialità della condivisione di un messaggio.
La presenza online non è un gioco.
Il mondo digitale è uno spazio comunicativo e non deve essere scambiato sempre e comunque per il bar di paese in cui si può dire tutto, tanto poi non se lo ricorda nessuno.
Volete parlare ai giovani?
Benissimo, mi sembra doveroso, ma forse dovreste prima partire dall'ascolto. Perchè anche questo potrebbe essere un uso consapevole di un social.
Più di ogni altra cosa però, magari aggiungete nei vostri team di comunicazione qualcuno che vi spieghi cosa sia Tik Tok e che capisca alcuni dei termini che vengono usati, altrimenti mi spammate il feed di boomer.