Il curioso legame tra amari calabresi e briganti
Cosa c’entra, allora, il brigantaggio con un buon bicchiere? Pare che proprio loro usassero gli amari come medicina naturale riconoscendo in certe ricette virtù curative e il potere di scacciare i malanni
«Quando fu il giorno della Calabria Dio si trovò in pugno 15mila chilometri quadrati di argilla verde con riflessi viola. Pensò che con quella creta si potesse modellare un paese di due milioni di abitanti al massimo. Era teso in un maschio vigore creativo il Signore, e promise a se stesso di fare un capolavoro. Si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi». È così che lo scrittore Leonida Rèpaci tratteggia la nostra terra. Sarà perché era originario di Palmi e, come dicono i tedeschi, ognuno canta la sua canzone o sarà perché davvero la punta dello Stivale è un piccolo capolavoro? «Eh, ma con tutti i problemi del Sud», ribatterebbe subito qualcuno.
A noi piace guardare il bicchiere mezzo pieno e invece di pensarci come una terra amara, preferiamo raccontarci come una terra di amari. Amari e altre cose buone. La tradizione enogastronomica è un paniere che straborda di prodotti tipici che, ormai, conoscono in tutto il mondo. Tra questi, indiscutibilmente un posto d’onore spetta agli amari, liquori a base di erbe aromatiche e spezie che mettono in bottiglia l’anima più autentica della regione.
Le influenze delle colonie
Le origini si perdono nella storia e s’intrecciano con la cultura popolare e la vocazione agricola calabrese. Basti pensare che già le colonie greche che si erano stanziate qui utilizzavano le erbe aromatiche locali per la preparazione di liquori e tisane. Nel corso dei secoli, la tradizione si è affinata, arricchendosi di influenze arabe, normanne e sveve, dando vita ad un grande, immaginario libro di ricette segrete tramandate di generazione in generazione. Furono soprattutto gli arabi, esperti nella distillazione e nella preparazione di liquori a base di erbe, ad introdurre nuove tecniche e ingredienti, ampliando varietà e complessità di aromi. Così, utilizzavano zafferano, cannella, chiodi di garofano, liquirizia, tutti ingredienti che ancora oggi caratterizzano molti amari autoctoni. Nel Medioevo e nel Rinascimento, monasteri e abbazie divennero centri di produzione e conoscenza, dove frati e monache coltivavano erbe aromatiche e preparavano liquori non solo come digestivi e rimedi curativi, ma anche come bevande per le occasioni speciali.
Un profondo legame con la terra
A questo punto, le parole “rimedi curativi” aprono nuovi scenari e ci trasportano in un’altra dimensione, lontana da sai e monasteri ma molto più vicina a nascondigli, sotterfugi e lunghe barbe incolte. O almeno ce li immaginiamo così i briganti: figure che continuano a vivere nel folklore, nella letteratura e nella musica popolare, rappresentando un simbolo di resistenza e di lotta contro l’oppressione. Le loro azioni, spesso violente e cruente, hanno tratteggiato un profilo più simile ad un bandito che ad un Robin Hood ante litteram. Cosa c’entra, allora, il brigantaggio con un buon bicchiere? Pare che proprio loro usassero gli amari come medicina naturale riconoscendo in certe ricette virtù curative e il potere di scacciare i malanni. Grandi conoscitori del territorio e delle sue risorse, raccoglievano erbe e fiori selvatici per preparare liquori che, oltre ad un piacere per il palato, erano considerati elisir di salute grazie alle proprietà digestive, antinfiammatorie e antisettiche, utili per ferite e infezioni. Si dice che ogni banda avesse la sua ricetta speciale, tramandata oralmente tra i membri del gruppo, spesso arricchita con ingredienti rari e preziosi, come radici di ginseng selvatico o corteccia di alberi secolari. C’è sempre un alone di mistero intorno a questi loschi figuri ma, oltre la leggenda, la storia racconta che davvero i briganti sentissero un profondo legame con la terra e la tradizione perché vivevano a stretto contatto con la natura, conoscevano le proprietà benefiche delle erbe e utilizzavano le loro conoscenze per curarsi e per aiutare i loro compagni.
Non chiamatelo digestivo
Sebbene le avventure dei briganti e dei loro amari continuino a raccontarci un pezzo di storia e cultura calabrese, ovviamente oggi gli amari non sono più utilizzati come medicina naturale ma sono diventati grandi protagonisti della tavola e della mixology, facendosi largo a tutto pasto con nuovi, bellissimi abbinamenti gastronomici. E diventano sempre più lontani i tempi in cui si serviva un bicchierino “tanto per digerire”, soprattutto perché la produzione industriale non bada a spese quando si tratta di dolcezza. Vuol dire che il prodotto finale è talmente zuccherino da generare l’effetto contrario: rallentare la digestione.Non è il caso dei liquori artigianali orientati verso lo sugar-free o l’uso di dolcificanti naturali. Queste lavorazioni, infatti, danno amari-amari, di nome e di fatto, e sono quelli che, nell’ultima manciata di anni, hanno scalato le vette più alte dell’Olimpo “sopra i 16 gradi” vincendo premi e riconoscimenti a livello mondiale. Insomma, non c’è proprio niente in questo Sud che lasci l’amaro in bocca, ma solo una buona bocca d’amaro per raccontare di leggende e di briganti, di Calabria e di nuove cose da amare. (di Rachele Grandinetti)
fonte: meravigliedicalabria.it