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Un anno senza Gianfrancesco Sapia: il ricordo nella scrittura dei suoi ex alunni

9 minuti di lettura

CORIGLIANO-ROSSANO - Questa mattina mi ha scritto un mio ex compagno del primo superiore. «Sai, con il gruppo della classe ci chiedevamo se si faceva qualcosa per il professore Sapia». Oggi, infatti, è un anno esatto dalla sua scomparsa e in tanti lo vogliono ricordare.  Parte così un viaggio nei ricordi, nelle aule del passato che erano abitate da aneddoti, sorrisi, soddisfazioni, occhi assonnati e profumo di gessetto.

Isabella, il test e l’avere sempre ragione

Io e il professore ci siamo sempre voluti bene, ma almeno una volta a settimana discutevamo perché avevamo pareri diversi su molti argomenti. Durante uno dei suoi test a tempo, abbiamo discusso. Lui ha cercato di calmarmi e mi ha dato un consiglio su come svolgere quel test. A fine test gli consegno il foglio arrabbiata, quasi con le lacrime agli occhi, dicendogli che sarebbe stato molto meglio se non avessi usato il suo consiglio. Il giorno dopo, mi ha guardato con il suo sguardo serio, ironico e soddisfatto. I miei occhi subito leggono: “e meno male che non avevo ragione!”. Inutile dire che ha sempre avuto ragione, su tutto. Adesso studio economia, a Pavia, ed ogni volta che ho un esame ripenso ai suggerimenti del professore e mantengo la calma, come mi ha insegnato lui.

Giovanna, insegnare significa lasciare un segno

Da Giovanni Verga a Dino Campana, da Federigo Tozzi ad Andrea Zanzotto, tu, magnifico prof, me li hai fatti amare tutti e mi hai trasmesso la dedizione per l'insegnamento. Quegli schemi li custodisco con cura, li rivisito, li reinvento per proporli ai miei alunni; e quando mi chiedono: «Ti piace insegnare?», io rispondo: «Sì, da quando il mio professore di Lettere è stato Gianfrancesco Sapia, le idee sul mio futuro non potevano che essere chiare e certe».  Nutrivo il desiderio di diventare, un giorno, tua collega, per confrontarmi sempre al meglio; eppure, si sa, i nostri disegni di vita talvolta inciampano, ma non precipitano mai, perché, lo so, da lassù mi segui quando sono in classe e questo solo pensiero mi rasserena e mi ricorda che grande esempio io abbia avuto.

Corrado e la forza del dubitare

La cosa che mi ricordo del Prof è che mi ha insegnato a dubitare. Se c’è un ricordo che mi viene in mente più di tutte le ore passate insieme è quando con l’aria incazzata, o almeno così voleva farci credere, in una delle tante lezioni “aperte’ in cui parlavamo del mondo attorno a noi ci disse: “non bevetevi tutto quello che vi dicono” dubitate sempre, anche di quello che vi dico io”. È lì che pensai che quello che ci volevi dire, quello che tenevi che apprendessimo più di tutto andava oltre Dante, o l’odiato Carducci. Volevi che imparassimo a guardare con i nostri occhi la realtà. Insegnarci a soffrire e guardare avanti nella ricerca costante della verità. Dovevamo imparare a mettere tutto alla prova.

Claudia e Giulio: l’unico che mi guardava con speranza, e non con delusione

 A Sydney è l’una di notte, fa freddo. Qui a Roma sono le 17 del pomeriggio. Ricevo una chiamata dal mio migliore amico che non sento da settimane. Iniziamo a parlare di tutte le cose che sono successe in questo tempo, di quanto sia cambiata la nostra vita.  «Ho iniziato a lavorare - mi dice - eppure non capisco perché a scuola ero circondato e osservato da occhi delusi. Forse poi è diventata un’abitudine, sai Cla', quando una persona ha un’immagine di te, resta quella. Anche quando non vuoi che sia così». Mentre parliamo c’è un breve momento di silenzio, interrotto dalla sua voce un po’ rauca per il freddo, ma anche un po’ cresciuta. Giulio guarda un punto nel cielo buio australiano e continua: «Sai, la sera mi piace prendere un po’ d’aria qua sotto casa e riflettere, non sai quante volte ho pensato a Sapia proprio in questo punto della città. Mi basterebbe una chiamata per dirgli grazie per essere stato l’unico che mi guardava con speranza, e non con delusione. Gli vorrei dire solo che ce l’ho fatta».

Giulio era arrabbiato con il mondo, si sentiva incompreso, talvolta inadatto. Si presentava a scuola con il suo zaino vuoto, ma pieno di dubbi e domande. A Giulio bastava uno sguardo, un sorriso di Sapia o un semplice: «Giulie’, chi ti ha fatto arrabbiare?» e si sentiva un po’ più capito, un po’ meno sbagliato.  Giulio ha sempre odiato passare le ore sui libri, è vero, ma ha avuto il coraggio di partire e di stravolgere la sua vita, non ha avuto paura; in mente risuonano le parole del nostro Professore: «Parti, cresci, lavora, fa’ ciò che ti piace e cerca di respirare un’aria nuova, diversa, conosciti e cerca di conoscere il mondo che ti circonda. La vita è piena di opportunità Giulie', sta a te coglierle. E io credo in te, devi solo trovare la tua strada». Ed ora comprendo finalmente la tanta rabbia di Giulio in quell’ottobre di due anni fa, quando lancia il diario nel cestino perché: «Cla’, tu lo sai, mi ero messo in testa che l’ultimo anno avrei studiato le sue materie, ma se non c’è Sapia io non faccio niente, perché quando cresci capisci che uno come lui non va deluso, se no ci soffri».

Giada e una promessa

Sono passati tanti anni (quindici!) dalla nostra passione condivisa per Alessandro Baricco e il suo "Castelli di rabbia" che mi fece compagnia anche durante l'esame di Stato. Mi sono chiesta tante volte se si ricordasse ancora del cortometraggio che montai per il mio colloquio d'esame! Lo scorso anno scolastico ci siamo ritrovati, da colleghi, in sala professori a raccontarci un po' di vita. Fu un'emozione grandissima ritrovarlo e una sensazione stranissima che convergeva tutte le volte in un timido e impacciato "Giada, ma dammi del tu!".

Caro Professore, a darle del tu non ci sono mai riuscita, come non sono mai riuscita a farle quella telefonata il giorno in cui ho saputo, per caso, della sua malattia. Non ho avuto il tempo di confessarglielo, ma quando entro per la prima volta in una classe "nuova", spesso mi viene in mente una frase che ci ripeteva sempre ovvero che dovremmo imparare un po' tutti ad essere vulnerabili senza avere paura. Io le prometto che ci proverò!

Vittorio e l’attimo fuggente

La nostra classe, in primo superiore, affacciava sul cimitero, era un po’ cupa. Il primo giorno di scuola, il professore Sapia ha messo piede in classe, sicuro di sé, ed ha lanciato la valigetta sulla cattedra; ha iniziato ad osservare il triste panorama che ci circondava. Ricordo perfettamente la sua prima frase: «Quando morirò ricordatevi che io sono stato un Professore che ha amato la scuola» e a mo’ dell’attimo fuggente ha scritto il suo nome sulla lavagna, il suo numero e la sua email. Oggi frequento l’università, studio ingegneria, e mentre passeggio ripenso alla sua bontà: amava il suo lavoro e avrebbe scommesso tutto su di me, su di noi 

Josef, l’adolescenza è un viaggio verso il tutto

È bene partire con una premessa: mi sono convinto che adolescenza è un ablativo che designa la provenienza dall’incanto. Ab+Holo, cioè un viaggio dentro la completezza, dall’alto verso il basso, dall'evoluzione verso il tutto. Il perché dell’incipit arriva alla fine. Esattamente venti anni fa, in una calda sera di inizio estate, Sapia venne a cena a casa mia assieme al professore, nonché amico inseparabile, Pierluigi Labonia. I miei genitori erano colleghi, papà docente di lettere alle medie e mamma alle elementari, quindi era doveroso un “consiglio di classe speciale e straordinario”. Ordine del giorno: l’ostracismo per il sottoscritto. In sostanza, durante lo scrutinio tenutosi pochi giorni prima si era deciso che dovevo cambiare classe, un “o lui o noi”, un aut-aut insomma. Capii immediatamente che tenevano a me. Non sono mai stato un alunno modello, complicato e a tratti ingestibile. Dovetti abbandonare i miei vecchi compagni e trasferirmi in un altro corso. Sapia, però, non mi perse mai d’occhio perché interista e perché “Josef, mi piace come scrivi”. Oggi lo ringrazio ancora perché in quella nuova classe ho incontrato nuovi amici, ho vissuto, ho conosciuto e amato Céline, ho scoperto e capito quale era la mia vocazione. Oggi, oltre ad aver capito la lezione di quell’allontanamento e aver fatto pace con i miei quindici anni, insegno lettere, storia e filosofia e scrivo. Ho un pezzetto di Sapia ogni volta che entro in classe perché con poco mi ha insegnato che dietro gli alunni “più tremendi” ci sono quello più sensibili, che dietro un cattivo alunno si può nascondere un professore migliore. Per guardare il tutto della premessa ci vuole occhio. Non è da tutti. Sapia sapeva che bisognava guardare al talento e non al risultato.

Andrea, sempre in viaggio con Gianfrancesco nel cuore

Che lo studio non fosse proprio la mia passione l’ho sempre saputo e un giorno il me lo disse chiaramente: «Tu sei un ragazzo sveglio e dalle mille risorse ma a scola unn è cosa tua, non ti piace, forse non la vedi produttiva. Senti a me: fai il commerciante». Caro Prof, ho preso il consiglio alla lettera. Grazie per aver contribuito a farmi diventare uomo.

Diego, l’Aston Villa e la squadra di Vienna

Ho conosciuto il professore Sapia prima ancora dell'inizio della scuola, capendo, sin da piccolo, il valore della persona che avevo davanti ai miei occhi. Ho condiviso con lui numerosi momenti, dalle partite di calcetto, alla serata passata a ridere, ad ascoltare musica e a scherzare dopo il pranzo dei cento giorni. Ricordo quando gli ho regalato la maglietta vintage dell'Aston Villa e ripenso a quando ho ricevuto da parte sua la maglietta della squadra di calcio di Vienna, perché voleva farti percepire che lui era entrato nel tuo cuore, ma anche tu nel suo. Riusciva a mettere a suo agio tutti, e ti capiva; a lui devo molto, perché se sono la persona che sono oggi, il merito è anche suo. Mi ha ispirato e ha lasciato un segno indelebile.

Ilaria, da Cartagine a Notturno

Ci hai sempre insegnato che chi scriveva era una persona che viveva e raccontava il proprio mondo. Hai reso Dante un uomo, e ci hai fatto andare oltre le parole, facendomi sentire il solitario romanticismo di una ginestra e la freschezza silvestre di un Pineto. Due ricordi serbo nel cuore di te: il primo è quando al 5 liceo mi avvicinai alla cattedra per rivelarti tutta la mia frustrazione nel non riuscire a "sentire" Pirandello e Ungaretti come avevo sentito Petrarca e Leopardi.

Tu mi rispondesti sorridendo che le poesie non erano diverse dalle canzoni; anche se ne apprezziamo la tecnica, non è detto che ci parlino di noi; mi mettesti una mano sulla spalla e aggiungesti "aspetta Campana". L'altro ricordo è il motto che mi hai assegnato il giorno della mia ultima interrogazione: «La tua frase Ilaria è un aforisma di D'Annunzio " et ventis adversis"». È come se avessi riconosciuto e soffiato sulla mia ostinazione e sulla mia testardaggine. Ecco lì mi sono sentita riconosciuta come persona, non solo come allieva. È stata una molla forte, che mi ha fatto capire che il mio carattere mi avrebbe portata lontano. Anche io metto i fiori all'interno dei libri per fermare i momenti in cui ho letto certe pagine, proprio come facesti tu una volta con un giglio.

Non posso che dedicarti questa poesia, ricordando quel giorno in cui entrasti in aula e abbassasti tutte le tapparelle per farci sentire il buio che D'Annunzio viveva quando le scrisse, oggi è ancora più buio, ma ogni volta che leggo e leggerò una sua poesia il tuo sorriso mi illuminerà il viso, per sempre.

 

Caro prof, è stato un bel viaggio

Ora - questi ricordi - non resta che leggerli e conservarli, se ce n’è bisogno correggere qualcosa. Un tema a testa te lo dovevano in tanti. Tutto questo è stato dolce ed emozionante e, alla fine, ci ricorda una cosa; tutti noi studiamo Dante, l’arte, la bellezza, la poesia e lettere per un motivo semplice e chiaro: non verremo ricordati per quanto raccoglieremo ma per l’amore che lasceremo. Quando non ci saremo più, l’unica unità di misura utilizzata sarà l’amore che abbiamo sparpagliato sul pianeta terra. Gianfrancesco Sapia è tutto quello che ha donato, come ho già scritto un anno fa: “Chi segna e insegna non ha altro destino. Salta il Purgatorio, cammina sul Lete e sull’Eunoè e viene ammesso immediatamente in Paradiso. Chi lavora nelle classi ogni giorno salva e migliora delle vite”.

Josef Platarota
Autore: Josef Platarota

Nasce nel 1988 a Cariati. Metà calovetese e metà rossanese, consegue la laurea in Storia e Scienze Storiche all’Università della Calabria. Entra nel mondo del giornalismo nel 2010 seguendo la Rossanese e ha un sogno: scrivere della sua promozione in Serie C. Malgrado tutto, ci crede ancora. Ha scritto per Calabria Ora, Il Garantista, Cronache delle Calabrie, Inter-News, Il Gazzettino della Calabria e Il Meridione si è occupato anche di Cronaca e Attualità. Insegna Lettere negli istituti della provincia di Cosenza. Le sue passioni sono la lettura, la storia, la filosofia, il calcio, gli animali e l’Inter. Ha tre idoli: Sankara, Riquelme e Michael Jordan.