Le riflessioni di Mons Savino nella 56ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
Una lettera aperta a tutti i fedeli sull'importanza di comunicare con il cuore per includere tutti, soprattutto oggi con una guerra in corso nel cuore dell'Europa
CASSANO JONIO - «Timore e tremore accompagnano la mia penna mentre mi accingo a rivolgervi queste parole. «Timore e tremore»: i sentimenti del pudore di fronte al mistero, evocati a più riprese dall’apostolo Paolo nelle sue lettere, citati nel titolo di una sua celebre opera da un filosofo danese che, non a caso, si firma con lo pseudonimo di Johannes de Silentio. Timore, tremore, silenzio: quali altre coordinate se non queste, per cercare le parole in un tempo nel quale l’abisso oscuro della guerra è tornato a spalancarsi nelle viscere della nostra storia presente, alla periferia della nostra Europa? Come invitare alla Parola buona, all’Annuncio di gioia, all’E-vangelo, quando la più terribile delle parole, la parola che toglie voce e annulla il senso – guerra, appunto – quotidianamente impregna l’inchiostro della nostra carta stampata, riecheggia nei notiziari, marchia come il più ferale degli hashtag le nostre comunicazioni social? Ci sentiamo sconfitti e sprofondati nel non-senso, di fronte a tale illogica umiliazione della vita».
Lo dichiara Mons Francesco Savino, Vescovo della diocesi di Cassano Jonio per la 56ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
«Riproponiamoci in forma di domanda l’inquietante constatazione con la quale il poeta chiude la sua lirica: solo questo oggi possiamo dire, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo? Di fronte alla domanda di senso che urla da ogni lembo della martoriata terra ucraina, accompagnando il rantolo di dolore di milioni di vite innocenti, solo questo possiamo rassegnare? Non chiederci la parola? Riflettere sull’etica della parola e sul valore sociale della comunicazione, in questi giorni nei quali l’emergenza della vita richiama alla radicalità delle nostre scelte, non può che comportare questa terribile sfida: come impedire che il nostro silenzio si tramuti in diserzione morale, in quella che, nel Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali dello scorso anno– dichiara S.E. Savino - ho definito «perdita della Parola, perdita dell’Incontro, perdita della Festa, afonia del Bene». Come tornare, allora, a renderlo gravido questo silenzio? A farne gestazione della parola che cura? Il Santo Padre, in occasione della Memoria di San Francesco di Sales di quest’anno, riprendendo una celebre locuzione agostiniana (corde audire) ci ha indicato una traccia importante: Ascoltare con l’orecchio del cuore».
«La nostra afonia di fronte al male va tradotta in carità di ascolto. “Tradotta” – sottolinea Mons Savino - non riempita. Perché è facile, di fronte ai vuoti di senso e di linguaggio che sperimentiamo nella vita, cedere alla tentazione di esercitare una funzione di supplenza: riempire i silenzi con qualsiasi chiacchiera, purché non si sentano, purché non ci assordino. E difatti sovente questa afonia, il ritrovarsi senza-parole, specialmente per chi della parola ha fatto una professione, porta con sé un sentimento di vergogna: è il silenzio dell’imbarazzo di non-aver-nulla-da-dire. Di fronte a questo imbarazzo, è facile e spontaneo ricorrere alla parola che copre, alla parola che nasconde. Rattoppiamo i silenzi come meglio ci riesce, un po’ come fa chi nasconde la polvere sotto il tappeto. Tradurre l’afonia in ascolto, al contrario, significa fare i conti con il silenzio e lasciarlo parlare».
«Come dice un bellissimo verso di una canzone – continua S.E. Mons Savino - del Gen Rosso, «Eppure, il tuo silenzio parla/mi racconta te/ed io non ho parole ma ti/cercherò». Ecco l’esperienza dell’ascolto che il silenzio può mettere in movimento: scoprire che il silenzio racconta; fare i conti con la propria povertà di parole; mettersi alla ricerca dell’altro. È a questa autenticità, a questa radicalità dell’ascoltare che fa riferimento, ancora, l’Evangelii Gaudium di Papa Francesco: Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire. La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. C’è una doppia dinamica in questa forma dell’ascoltare: una passività e un’attività, un ricevere e un generare. Innanzitutto, l’ascolto è un capere, cioè un ricevere, un lasciarsi parlare dai detti e dai silenzi dell’altro. In questa operazione, ciò che mi viene richiesto è il gesto dell’accogliere, del fare spazio dentro di me, affinché la parola che arriva possa dimorarvi. È questa la «capacità del cuore» evocata dal Santo Padre, senza la quale non può esservi prossimità».