Qui servono meno province e più coraggio
Se si vuole riscattare davvero la Calabria del nord-est è arrivato il momento di mettere da parte campanilismi, scialbe rivendicazioni e inutili divisioni politiche e remare tutti nella stessa direzione. Cosenza docet
La discussione su una nuova provincia in Calabria, da qualche settimana, pare abbia preso una piega ridicola, dai toni più simili a quelli di una televendita a chi propone l'idea più convincente... nel nulla di servizi, diritti e autorevolezza. Il vero problema, però, è che il gioco della contrapposizione e del campanilismo, al pari delle avventurose proiezioni verso cause impossibili, non fa altro che rafforzare – più di quanto già non lo è - il centralismo cosentino. Del resto la disgregazione di un punto è direttamente proporzionale all’addensamento di un altro punto, almeno in politica funziona così: più nella Calabria del nord-est si rimarrà disuniti e disomogenei nei ragionamenti e nelle politiche territoriali, più altri territori approfitteranno di questo status di litigiosità per tutelare i loro diritti a discapito di quest’area e farsi nuovi "amici".
Veniamo al punto. In questi giorni si è riacutizzata la ferita della soppressione del tribunale di Rossano a “vantaggio” del foro di Castrovillari. E questo squarcio grondante di sangue nella pelle della Sibaritide sembra essersi aperto ancora di più all’indomani dell’incontro tra i sindaci delle due città “rivali” Stasi e Lo Polito, voluto per creare un fronte comune sulle grandi questioni del territorio e per inseminare l’idea della nuova grande provincia della Sibaritide-Pollino.
Per alcuni è sembrato un affronto all’autodeterminazione di Corigliano-Rossano; di fatto, però, – per come sono oggi i tempi – non è altro che la prosecuzione naturale di un più ampio ragionamento d’insieme, di un processo che questo territorio, soprattutto dopo la fusione, è chiamato a fare. Non stiamo assistendo ad uno degli accesissimi e storici derby calcistici e non c'è da tifare per nessuno se non che nel futuro di quest'area della Calabria.
Chi pensava che con la nascita della grande Corigliano-Rossano si sarebbe, di fatto, creata la città che “tutto puote” con il solo intento di alzare l'asticella dell'auto-referenzialità, non ci ha capito un bel niente. Anzi, aver unificato due realtà comunali storiche e diverse sotto un unico vessillo municipale ha aumentato le responsabilità sociali, civili e politiche di questo territorio che non può e non deve chiudersi a riccio con i suoi conterranei. Pensare il contrario è follia.
Cariati, Crosia, Cassano Jonio, Castrovillari, Trebisacce e tutti i restanti 46 comuni che afferiscono al territorio della Sibaritide-Pollino, della Calabria del nord-est, non possono essere lasciati indietro né – tantomeno – si può pensare di esercitare un feudale diritto di rivendicazione e potere territoriale. La democrazia, ma ancor prima la storia del mondo, non ha mai funzionato così.
Il presunto affronto che avrebbe fatto Castrovillari a Rossano (oggi Corigliano-Rossano) riguardo alla vergognosa vicenda del tribunale, in realtà, poggia su giustificazioni sciocche, autolesionistiche e facendo leva sulle quali non si arriverà mai ad avere una verità oggettiva dei fatti tanto meno si arriverà ad avere la restituzione di un maltolto. Ma davvero si può pensare di attribuire la colpa della soppressione del Tribunale ad un disegno ordito ai piedi del Pollino? Sicuramente Castrovillari avrà lavorato per autotutelarsi e la verità è che si suoi rappresenti, a tutti i livelli, evidentemente sono stati più bravi di quelli di Corigliano e Rossano. O forse non è così?
Il primo e principale problema sta in casa nostra ed è una questione di mentalità e di cultura della partecipazione. Per anni, e fino al 12 settembre 2013 (vigilia dell'entrata in vigore della famigerata Riforma della Geografia Giudiziaria), il palazzo di giustizia di Piazza Santo Stefano è stato percepito come un qualcosa da relegare nei confini dell’avvocatura locale. E non si vengano a raccontare altre storie, perché sarebbero poco credibili. Delegare tutto alla politica, ad una classe professionale o a un ceto sociale si traduce in mancanza assoluta di consapevolezza che produce disfatte come quella del soppresso tribunale e che oggi continua a riverberarsi anche nel poco entusiasmante discorso di una nuova provincia.
Lo si fissi bene in testa: se qui, in questo pezzo di terra chiuso tra il Crati e il Trionto, non si cambierà atteggiamento non ci sarà futuro per nessuno. Innanzitutto perché pensare di costruire una nuova provincia – che sia slim o large, vaga o concreta, costiera o valliva, poco importa – con la speranza di avere nuovi servizi è un algoritmo che non regge, non è certificato dal momento che i risultati si ottengono grazie alla visione e alla lungimiranza della politica. E già questo è un grandissimo problema! Piuttosto bisognerebbe capire che entusiasmo c'è tra la gente. E non tra i cittadini di Corigliano-Rossano ma dei territori viciniori.
Prima di imbarcarsi nella rivendicazione di un'autonomia, allora, bisognerebbe che tutti i comuni, con i sindaci a capo, iniziassero a lottare per rivendicare i diritti scippati (l'assurdità non sarebbe avere due tribunali nella Sibaritide-Pollino ma averne due in un territorio eterodiretto da Cosenza), iniziassero a lottare per chiedere servizi (l'assurdità non è avere un solo treno a lunga percorrenza in un territorio con 300mila utenti ma non avere strade, stazioni e connessioni dirette con gli aeroporti) e per ottenere un'autonomia sanitaria.
Per fare tutto questo non servono nuove province.
Servono gli attributi di sindaci, rappresentanti istituzionali e cittadini che se si uniscono insieme possono fare muovere il mondo. Cosenza, in questo, è maestra: quando c'è da difendere l'autorevolezza del capoluogo bruzio si accantonano divisioni, partigianerie e casati politici per virare tutti in un'unica direzione.
Noi, invece, ci sfaldiamo in mille pezzi. Forse, oggi, ci servono più D'Artagnan e meno Don Chisciotte