Legalità, Renzo: «Noi educatori facciamo la nostra parte. Ora è lo Stato che deve fare la sua»
La pedagogista di Co-Ro: «La legalità non può essere una parola nei programmi scolastici: deve diventare una condizione di vita. Solo così saremo credibili agli occhi dei bambini che ci ascoltano»
CORIGLIANO-ROSSANO – «Ogni giorno insegniamo ai bambini cos’è il rispetto delle regole. Ma chi insegna allo Stato a rispettare il proprio ruolo di tutela?» È da questa domanda, netta e sicuramente scomoda, che nasce la provocazione della pedagogista Teresa Pia Renzo con l’auspicio che si apra presto un dibattito vero e risolutivo sulla contraddizione educativa più esplosiva del nostro tempo: la scuola è obbligata a trasmettere legalità, mentre il Paese non riesce più a garantirla.
«C’è una frattura è evidente - aggiunge - perché nelle scuole italiane esiste un curriculum ministeriale dedicato all’educazione civica, obbligatorio in ogni ordine di studi. Le maestre accompagnano i bambini nei parchi, spiegano che cosa significa prendersi cura di un albero, rispettare gli spazi comuni, vivere il territorio in modo responsabile. Si affrontano diritti, doveri, regole condivise. Ma quando un bambino cresce – osserva – si accorge che ciò che gli abbiamo insegnato non coincide con ciò che trova nel suo mondo. E questa discrepanza educativa è un danno psicologico ben più profondo di quanto si creda».
Il punto sollevato dalla pedagogista è semplice e radicale: «come possiamo chiedere alle scuole di costruire il senso civico se il contesto in cui vivono i minori comunica il messaggio opposto? Le cronache raccontano aggressioni, microcriminalità crescente, episodi di violenza ai danni di cittadini e persino delle forze dell’ordine. Se lo Stato non tutela chi tutela i bambini – dice – l’educazione civica resta un esercizio teorico. E la teoria, quando contraddice la realtà, genera sfiducia, non cittadini migliori».
«Il problema non è mai il bambino, non è la scuola, e non è la diversità culturale; il problema - al contrario - è l'assenza di un sistema capace di accompagnare, integrare, vigilare, garantendo una cornice sicura tanto ai residenti quanto ai nuovi arrivati. Accoglienza e multiculturalità sono valori educativi importanti – precisa Renzo – ma senza strumenti adeguati diventano parole senza struttura. E quando uno Stato non regge l’impatto sociale delle proprie scelte, la prima vittima è sempre il cittadino più fragile: il bambino».
La professionista che da oltre venti anni svolge attività pedagogica professionale a Corigliano-Rossano richiama con forza un principio educativo basilare: i bambini imparano per imitazione. «Se l’adulto — famiglia, scuola, istituzioni — parla di legalità ma non la incarna, il bambino registra lo scarto e impara una cosa sola: che le regole valgono fino a quando qualcuno decide di farle valere. A scuola – sottolinea ancora – spieghiamo che le forze dell’ordine garantiscono sicurezza. Ma se chi interviene viene poi delegittimato o ostacolato, quale messaggio stiamo trasmettendo ai figli? E cosa accade quando sono proprio gli insegnanti o gli educatori a sentirsi esposti, non protetti, lasciati soli? La questione, quindi, non riguarda la politica ma proprio la pedagogia pubblica, quella che ogni Stato costruisce quando definisce ciò che è tollerabile e ciò che non lo è».
«La soluzione - prosegue - non è la paura, né la chiusura, tantomeno la censura. La soluzione è la coerenza istituzionale. Se la scuola educa alla legalità, lo Stato deve creare le condizioni perché quella legalità sia percepibile, prevedibile, tangibile. Non possiamo chiedere ai bambini di credere in un mondo giusto se il mondo adulto non fa la sua parte. Non possiamo pretendere che interiorizzino il senso del limite se ogni giorno vedono limiti violati senza conseguenze. La pedagogia non è fantasia ma costruzione di realtà. E se la realtà non regge, l’educazione si spezza».
«Noi educatori facciamo la nostra parte. Ogni giorno. Ma ora è lo Stato che deve fare la sua, con coraggio e lucidità. La legalità non può essere una parola nei programmi scolastici: deve diventare una condizione di vita. Solo così - conclude Teresa Pia Renzo - saremo credibili agli occhi dei bambini che ci ascoltano».