Medici? In realtà ci sono ma preferiscono le prestazioni a gettone: «Fruttano di più»
Ne abbiamo parlato all'Eco in Diretta con il direttore sanitario dell'Asp Martino Rizzo: «Il nuovo decreto ministeriale si pone nell’ottica di porre un freno ai gettonisti, così da contingentare questo sistema. Ma ci riusciremo? Non so»
CORIGLIANO-ROSSANO – Dopo l’emergenza pandemica causata dal Covid-19 sembra che la situazione sia in progressivo miglioramento. Dai riscontri che giungono dagli ospedali, dall’Iss e dall’Epi, si può affermare che il momento critico è ormai alle spalle e che possiamo finalmente guardare al futuro con ottimismo. La speranza è che le lezioni su come gestire i virus e gli eventi inattesi che minacciano la salute pubblica siano state recepite.
Per parlare di questi ed altri temi riguardanti la riorganizzazione della sanità provinciale abbiamo invitato Martino Rizzo, Direttore sanitario dell'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, ospite all’Eco in Diretta, il talk della nostra testata condotto dal direttore Marco Lefosse.
«I virus – afferma Rizzo - vivono con noi e dentro di noi. Sappiamo che non hanno alcun interesse ad eliminarci perché ciò comporterebbe la loro fine. I virus poi cambiano continuamente, dobbiamo solo imparare a trattarli e a conviverci. Con le misure di prevenzione e contrasto (lavaggio delle mani, distanziamento e vaccinazione) siamo riusciti a superare questa fase. Oggi ci sono ancora 25 ricoverati ma la situazione è stabile, continueremo a gestirla come abbiamo fatto nell’ultimo periodo».
Il covid, lo sappiamo, ha spinto tutto l’apparato sanitario a ripensare sé stesso, cercando di fronteggiare l’emergenza con strumenti, strutture e personale spesso inadeguati. Cosa resta in termini di organizzazione e servizi?
«Resta sicuramente una struttura. Adesso abbiamo una struttura per pazienti con problemi respiratori che prima non avevamo. Ci lascia una buona competenza in materia perché in nostri pneumologi hanno imparato a trattare questa ed altre malattie. Ci lascia, in prospettiva, anche il miglioramento della sanità territoriale che è mancata un po’ ovunque, non solo dalle nostre parti, e che stiamo cercando di rifondare. Grazie a questa spinta si guarderà ad un nuovo modello di sanità territoriale, con la speranza che diventi possibile non solo a livello strutturale (edilizio) ma nell’offerta e nella qualità».
Questi anni appena trascorsi hanno segnato in maniera indelebile l’apparato sanitario nazionale e tutte le decisioni prese non possono non tener conto dell’emergenza vissuta. Nel sentire comune i vaccini sono stati lo strumento più efficace per il superamento della fase emergenziale, ma un alone di mistero resta ancora attorno ai rischi della somministrazione indiscriminata e a tappeto avvenuta durante i mesi scorsi. La comunicazione in quei mesi è stata pessima.
«Sui vaccini sicuramente la comunicazione è stata deficitaria. Quando una persona si vaccina, come per qualsiasi farmaco, deve sapere che va incontro a dei possibili effetti collaterali. Non dimentichiamo che un tipo di vaccino è stato abbandonato perché causava degli effetti collaterali che mettevano in pericolo i pazienti; nessuno ha pensato di continuare a proporlo o somministrarlo. Quello che però possiamo dire è che i timori verso vaccino non hanno nulla a che fare con il covid, bisognerebbe aprire una lunga parentesi scientifica sul funzionamento del vaccino somministrato. L’errore è stato attribuire al vaccino l’insorgenza di qualunque sintomo o malattia. L’Aifa sta ancora valutando e studiando caso per caso per vedere se gli effetti segnalati sono correlabili al vaccino ma non si è ancora espressa. Bisogna considerare che in quel periodo non avevamo nulla per poter fronteggiare la malattia, il vaccino era l’unica speranza e ci ha aiutato a superare le ondate successive».
Un altro disagio che si è palesato durante i mesi della pandemia è stata la carenza di medici, da noi ai limiti dell’allarmante, che ancora persiste.
«Tamponare grazie alla buona volontà di qualcuno che offre la sua disponibilità è una cosa, risolvere la situazione è un’altra. Dobbiamo tener presente che veniamo da 10 anni di commissariamento e 3 di pandemia. La gente non si è curata, in questi anni, per timore del covid. Adesso si accumulano una serie di urgenze e di richieste che non riusciamo a fronteggiare con il solo personale disponibile. La situazione non si risolverà a breve e le soluzioni adottate lasciano il tempo che trovano. L’ultimo decreto, poi, ci consentirà di inerire nell’organico personale non specializzato che ci chiediamo adesso dove sia».
Non possiamo, però, non porre l’attenzione su una stranezza che riguarda il reclutamento. I concorsi banditi sono pochi, molti vanno deserti ma quando spunta “il gettone” i medici accorrono. Forse è un problema di retribuzione?
«Bisogna considerare che un gettonista, oggi, guadagna 100 euro lordi all’ora. Se fai una notte sono 1200 euro e se ne fai più di una (a volte anche di seguito) arrivi a guadagnare in pochi giorni ciò che un medico guadagna all’inizio della sua carriera in un mese intero.
Conviene quindi. «Per questo il nuovo decreto ministeriale si pone nell’ottica di porre un freno a questa pratica del gettone rendendola temporanea (non può durare più di un anno) così da contingentare questo sistema. Ma ci riusciremo? Non so. Da noi ci sono due cooperative che lavorano per l’Asp, una è quella dei pediatri e l’altra è quella degli anestesisti che forniscono un numero limitato di prestazioni. Di recente abbiamo bandito un concorso per 7 pediatri a cui hanno partecipato solo 5 medici».
C’è connivenza? «Abbiamo controllato che non ci fossero situazioni particolari. Con questo decreto si sta cercando di arginare anche questo tipo di “giochi”».
Il nostro territorio soffre per il sovraffollamento dei Pronto Soccorso ma da una recente indagine ci si è resi conto che molti arrivano in codice bianco, e comunque non in pericolo di vita. Se funzionassero le medicine territoriali e le guardie mediche probabilmente questo fenomeno diminuirebbe.
«Purtroppo finché non ci sarà un’offerta sanitaria territoriale adeguata il problema resterà. Abbiamo stimato che su 30mila accessi l’anno nei Ps di Corigliano-Rossano, 1/3 sono codici bianchi. Ciò significa che gli accessi legittimi scenderebbero a 20mila, un numero sicuramente più gestibile. Stiamo cercando di fronteggiare questo problema potenziando la sanità territoriale. Grazie alle associazioni di medici che coprono più turni i pazienti diventano di tutti».
Il Dca n. 56 cambierà le sorti dello Spoke di Corigliano-Rossano? «La situazione non dovrebbe cambiare molto perché i reparti che ci sono devono restare attivi e aperti. Noi stiamo cercando di dotare queste strutture e questi reparti di Primari. In più c’è bisogno di un Direttore di Presidio che dovrà avere una mentalità dipartimentale così da far collaborare i reparti al fine di migliorare i servizi e sopperire alle eventuali carenze».
E sulla rimodulazione dei due presidi? «Se da qui a tre anni avremo, come si spera, il nuovo ospedale non ha senso investire tanto su queste strutture. Ripensare i due nosocomi significa fare una area calda e una fredda in cui vanno adeguati gli spazi e vanno trasferite le attrezzature. Dato che l’ultimo ostacolo che si è presentato per l’ospedale unico sembra superato non c’è motivo di riprogrammare i luoghi in tal senso».
Rassicurazioni arrivano anche per il punto nascita che non può assolutamente chiedere: «Il nostro ospedale fa nascere più di 700 bambini l’anno, i quali non possono essere in nessun modo dirottati verso Cosenza (già al limite). Ho chiesto al Dottor Gigli di garantirci ancora la sua presenza finché potrà».
Sui pazienti talassemici, infine, si cercherà di sollecitare chi di dovere affinché si possa riottenere la possibilità di prescrizione nei nostri centri.