di MARTINA FORCINITI Nell’ottica di quell’aggregazione dell’
Area urbana Corigliano-Rossano intorno a una città unica - in cui molti vedono il vero e potenziale polo di sviluppo della Sibaritide – si muovono ormai concretamente schiere di associazioni e movimenti sindacali, centinaia di cittadini sfiduciati ma fiduciosi. E mentre sembra sempre più difficile oltrepassare certe resistenze, soprattutto al di là del Cino, il moltiplicarsi delle manifestazioni d’interesse non può non far emergere una volontà di approfondimento che però, per una volta, non sia fine a se stesso. Perché riprendere e alimentare la discussione può essere certamente sintomo di serietà, a meno che non vada a frenare e impastare un iter già di per sé lungo ed articolato. Come ci spiega
Enrico Iemboli, membro del
Comitato 100 Associazioni per la fusione di Corigliano e Rossano, «la normativa prevede la stesura di una petizione popolare, strumento a cui siamo ricorsi con il Comitato, e la sua presentazione ai comuni, che ne dovrebbero prendere atto entro 90 giorni. Avendo, però, la petizione una valenza politica, il comune di Corigliano si è preso il suo tempo per riflettere. Sono passati diversi mesi senza che l’amministrazione coriglianese abbia approvato una delibera che, poi, sarebbe semplicemente un’adesione all’idea di fusione e prima che il procedimento abbia effettivamente inizio dovrebbero passare mesi. Quando entrambe le comunità avranno votato per le due delibere, stabilite in unità d’intenti, queste passeranno alla Regione che dovrà indire un referendum popolare. Con un decreto del Governatore della Calabria, le due popolazioni saranno chiamate a esprimersi a favore o contro il progetto di fusione. Se l’esito sarà positivo, inizierà il vero cammino progettuale verso il comune unico. La Regione chiamerà in causa i comuni che dovranno prendere nuovamente atto della situazione, approvando una seconda delibera sulla presa d’atto delle varie fasi successive, quindi del referendum. In seguito la Regione organizzerà un tavolo di lavoro, a sue spese, contribuendo alla fase progettuale che include sia la scelta di un nome della futura città, sia gli interventi da mettere in atto nel potenziale comune unico (viabilità principale, ubicazione degli uffici e dei centri direzionali, etc). Una volta conclusa questa fase, i cui risultati la Regione dovrà trasmettere ai comuni, la palla passerà nuovamente in mano alle due amministrazioni che dovranno ancora una volta prendere atto della situazione. Se il progetto andrà in porto, la tappa successiva è l’approvazione di una legge ad hoc con cui si istituirà il comune unico. Ed è qui che scatterà l’erogazione dei contributi da parte dello stato, nella misura del 20% in più sul consolidamento per 10 anni di seguito, in modo che si possa improntare questa nuova città, creando i giusti servizi. La legge regionale, poi, prevede anch’essa allo stesso modo un contributo decennale. Senza contare la deroga al patto di stabilità, che permetterà al neo-comune di spendere quanto vuole senza vincoli, dando vita a un vero e proprio movimento socio-economico. Certo, non si lotta solo per motivazioni di ordine economico-finanziario. Non quando ci stiamo vedendo togliere tutti i nostri servizi, per impoverirci. Con una realtà di 80 mila abitanti non ci si permetterà più di minacciarci: saremo temibili e potremo autogestirci. Per questo motivo, non è chiaro perché amici di Corigliano e di Rossano continuino ad ubbidire a logiche cosentine - pregiudicando il futuro dei nostri figli – piuttosto che impegnarsi per recuperare tutte le strutture che ci sono state tolte.
IL RUOLO DEL MINISTERO. È di primaria importanza, concorrendo quest’ultimo allo studio di fattibilità della fusione a sue spese. E in effetti, c’è grande interesse per la prima fusione degna di nota in Italia, considerando le dimensioni dei due comuni coinvolti. In ogni caso, se continueremo a marciare sull’asse divisione chissà che fine faremo. L’aspetto peggiore si sta già palesando: ci fanno bisticciare tra poveri, che poi è proprio l’obiettivo che si sono prefissati nell’ambiente cosentino. Eppure quest’azione di distrazione non l’hanno colta in molti e, a questo punto, vien da dire che se un politico non ha la visione del futuro del suo territorio, non può certamente fare politica.
COS’E’ L’AREA VASTA? Se la fusione vede la nascita di un unico territorio, con un unico comune, l’area vasta, prevista dalla nuova legge che ha abolito le province, comprende naturalmente un territorio molto più ampio di quello del singolo comune, ne raggruppa diversi con l’obiettivo di metterne in comune i servizi. Si autogestisce e si autoprogramma ma tutte quelle sue suddivisioni possono costituire un rischio concreto per l’efficienza dei servizi. A gennaio 2014, un raggruppamento di 50 Associazioni territoriali si costituisce per ottenere l’avvio del procedimento di Fusione tra i comuni di Rossano e Corigliano e, nello stesso mese, incontra le due Amministrazioni ottenendo una significativa manifestazione d’interesse. Nel luglio 2014 formalizza la sua esistenza in Comitato con documento sottoscritto da 78 Associazioni, divenute oltre 100 da lì a poco. Da qui l’attuale denominazione di Comitato 100 Associazioni per la fusione di Corigliano e Rossano. Fra incontri con imprese e operatori, convegni e dibattiti nelle due Città, delibere approvate e pause di riflessione, si arriva a marzo e giugno 2015 quando si svolgono due incontri del Comitato con il Sottosegretario Rughetti prima e con la sua Segreteria particolare e le due rappresentanze dei Comuni (Sindaco Rossano e Vice Sindaco di Corigliano più i due Presidenti di Consiglio) poi, nel Ministero della Funzione Pubblica. Si gettano le basi per una collaborazione diretta allo sviluppo di un primo Progetto di fattibilità della Fusione. E all’esito, si rimane d’accordo che il Ministero avrebbe offerto tutta la sua collaborazione per la redazione del progetto di fusione non appena si fosse materializzata la seconda delibera del Comune di Corigliano, promessa, al più tardi per settembre 2015, ma tuttora mancante. E al di là delle continue dimostrazioni verbali d’interesse per la fusione – ci spiega l’avvocato
Amerigo Minnicelli, referente del Comitato - non possiamo non stigmatizzare quel ritardo, che si è fatto pesante, dell’amministrazione di Corigliano nell’approvazione della delibera di fusione. Al momento non si è giunti nemmeno a una concreta discussione dell’idea e, di fronte a questi comportamenti inqualificabili, ci siamo convinti che la titubanza sia frutto di una volontà autolesionista che non trova riscontro o ragione. A questo punto, forse, bisognerebbe trovare il coraggio di esprimere il proprio dissenso piuttosto che continuare a tergiversare e rimandare. Che poi si è venuti meno alla parola istituzionalmente data al sottosegretario al
Ministero della Funzione Pubblica che – una volta approvata la delibera – doveva servire ad avviare il progetto vero e proprio di fusione. Un progetto che non è certo un contenitore in cui ognuno getta le proprie condizioni e i propri interessi. Non è più il tempo dei tentennamenti, bisogna passare alla fase successiva il più presto possibile, perché mettere in atto il passaggio normativo del referendum richiede tempo. Possibile che chi fa politica di mestiere non si renda conto che, qualora le amministrazioni dovessero deliberare entrambe per la fusione, le istituzioni regionali e nazionali dovranno necessariamente prendere atto e tenere in debito conto questa aggregazione? A questo proposito, il Comitato 100 Associazioni e il comitato spontaneo nato a Corigliano – coalizzatisi per indire il Referendum – hanno deciso di riunirsi e a partire dai primi di ottobre organizzeremo una raccolta firme, fermo restando che non ci aspetteremo niente sul fronte della deliberazione spontanea. Per questo, faremo tutta la pressione possibile sul comune di Corigliano che si trincera - ma a bocca chiusa – dietro un’alquanto discutibile convinzione per cui i rossanesi vorrebbero attraverso la fusione mettere i piedi in testa ai coriglianesi. Chi si sta opponendo viene evidentemente da fuori e si riduce ad un commando esterno che blocca le mani di 4 o 5 persone coinvolgendo tutti gli altri in nome di un’unanimità che, a questo punto, ha un vago sapore di auto-referenzialità.