Il luogo in cui scopri che la sostenibilità è consapevolezza: viaggio dentro Parco Biometano | VIDEO
Nell'area industriale di Corigliano-Rossano c'è un impianto d’avanguardia che si apre al territorio, trasformando tecnologia, arte e natura in un’esperienza educativa che ribalta i preconcetti e crea un nuovo modo di vivere l’ambiente
CORIGLIANO-ROSSANO - Ci sono luoghi che nascono per risolvere un problema. E poi ci sono luoghi che, mentre lo risolvono, decidono di insegnare, raccontare, accogliere. Parco Biometano appartiene a questa seconda categoria: non è soltanto un impianto industriale all'avanguardia e che garantisce posti di lavoro di qualità, ma è - allo stesso tempo - un esperimento sociale. È un modello che tenta – e forse ci riesce davvero – a riscrivere il rapporto tra cittadini, tecnologia e ambiente. E lo fa con un gesto semplice e rivoluzionario: aprendo le sue porte a tutti.
L'idea nasce a Corigliano-Rossano, nell’area industriale di Schiavonea, dall'esperienza trentennale di Ecoross che proprio il 10 dicembre scorso ha presentato alla stampa Parco Biometano Experience – il nuovo percorso pubblico che permette a scuole, associazioni, enti e gruppi di entrare, camminare, osservare, toccare, imparare. Un impianto che non rimane nascosto dietro i muri a voler celare chissà che e chissà cos, ma si offre come luogo educativo, culturale, sensoriale. Una sorta di “campus ambientale” che esiste dentro un’infrastruttura industriale reale e funzionante.
È un ribaltamento di prospettiva mai visto nel Mezzogiorno.

Un impianto che produce energia e... conoscenza
Accompagnati dal neo ingegnere chimico, Flavia Pulignano, responsabile marketing della prestigiosa realtà aziendale che si occupa dei servizi per l'ambiente, e introdotti in questo viaggio sensoriale dall'Amministratore Walter Pulignano, l'educational ha accompagnato la stampa attraverso la parte tecnologica del Parco, che impressiona per dimensioni e visione. Qui, ogni anno, vengono trattate 50.000 tonnellate di rifiuto organico e 11.000 tonnellate di sfalci, che a loro volta vengono trasformati in 4,5 milioni di m³ di biometano immessi nella rete nazionale SNAM, 18.000 tonnellate di compost per agricoltura e florovivaismo e 2,7 milioni di m³ di CO₂ catturata e non dispersa in atmosfera.
umeri che non restano sulla carta: il documento illustrativo del Parco - infatti - li presenta in modo chiaro in una tavola infografica dove emergono, fra gli altri, anche i 70.000 kg di CO₂ assorbita dalle alberature del Parco, l’uso del 95% dell’acqua depurata, la presenza di biciclette e golf car elettriche per gli spostamenti interni e una produzione energetica totalmente coperta da 3 megawatt di fotovoltaico.

L’impianto, inoltre, utilizza la tecnologia anaerobica “WET”, la più avanzata sul mercato, in grado di abbattere gli odori e di riutilizzare quasi integralmente l’acqua interna. Il tutto alimentato da energia solare. Una macchina complessa, ma perfettamente integrata in una visione di futuro possibile.
Dove la tecnologia incontra l'arte e la natura
La vera sorpresa, entrando nel Parco, è che nessun visitatore ha l’impressione di trovarsi in un impianto industriale. Anzi. Colpisce, per prima cosa, l'impatto scenico di un murale vivacissimo che racconta di fatto l'essenza sociale di come Parco Biometano sia stato concepito come un luogo di attraversamento, quasi un parco tematico sostenibile.
Oltre 350 essenze, selezionate tra le 2000 presenti in tutto il Parco, compongono il giardino botanico ad alto assorbimento di CO₂. Qui non si passeggia e basta: si abbracciano alberi (Tree Hugging), si cammina scalzi su superfici naturali (Barefooting) e ci si immerge nel silenzio del biolago e dell’anfiteatro. Ma anche passeggiare nel Parco, in quello che in realtà è un non luogo, riserva sorprese. C'àè ad esempio una panchina lunga 21 metri realizzata mescolando cemento e plastica riciclata da 1700 flaconi di detersivo; oltre 100 sedie recuperate e restaurate, trasformate in pezzi d’arredo della sala polifunzionale; e poi ancora c'è “Clediangela”, l’opera di Erika Calesini che fonde una sedia e una bicicletta in un manifesto di sostenibilità; e - come dicevamo - c'è il murale monumentale di Giulio Rosk, 1000 metri quadrati dedicati a “Natura, Tecnologia, Uomo”.
La sensazione è che tutto il Parco – dagli uffici alle passerelle esterne – respiri creatività e trasformazione. Nulla è lasciato al caso.

L'impatto sociale: un parco che diventa casa di comunità
La scelta realmente innovativa è questa: Ecoross mette gratuitamente a disposizione spazi per eventi, incontri, spettacoli, assemblee, attività educative, tutti ricavati dentro o intorno all’impianto.
Gli ambienti principali sono l'Eco-Agorà: una piazza verde, aperta, nata per ospitare dialogo, laboratori, performances; l'Anfiteatro: immerso nel giardino, ideale per concerti, talk, letture all’aperto; l'Aula polifunzionale di 70 posti, sedute recuperate, impianto audio-video, pareti che raccontano storie di riciclo.
È questa, in sintesi, l’idea, coraggiosa, che la “fabbrica” non debba essere un luogo da tenere lontano dai cittadini, ma possa diventare spazio civico, culturale, educativo.

La nostra impressione? Un luogo che produce energia e consapevolezza
Per noi, però, che abbiamo avuto la possibilità di passeggiare in quel parco in un "primaverile" pomeriggio di dicembre, l'impressione è questa: stupore. L’Italia, infatti, è piena di impianti per il trattamento dei rifiuti. Ma quasi nessuno apre alla comunità, quasi nessuno trasforma spazi tecnici in luoghi di socialità, quasi nessuno usa l’arte per umanizzare l’industria, quasi nessuno investe nella bellezza come strumento educativo.
Parco Biometano, invece, decide di mostrarsi. Di spiegare. Di farsi visitare. Di accogliere. Perché sembra proprio di non aver paura, anzi di sfidare i preconcetti. E questa sicurezza la percepisci anche nel volto di Eugenio Pulignano, il "figlio grande" di questa esperienza, colui che insieme al fratello Walter guida da tre decenni l'esperienza Ecoross. Lui che è più uomo del fare e meno delle parole, è quello che - accompagnando i giornalisti - teneva dritta la "barra tecnica" quella per la quale ogni cosa deve funzionare a menadito. Perfettamente!
Questo per dire, senza troppe parole, che la sostenibilità non si predica: si mette in scena, si fa vivere, si fa toccare, si fa respirare, si rende comprensibile non con slogan ma con esperienze e praticità.
E forse è questo il lascito più grande del progetto: l’idea che un impianto – solitamente percepito come un luogo di odori, rumori, distanze – può diventare uno spazio culturale e pedagogico, capace di cambiare il modo in cui una comunità guarda ai rifiuti, alla responsabilità, al futuro.
Un luogo che insegna, senza mettersi in cattedra.
Un luogo che produce energia, ma soprattutto consapevolezza.