Sulla Statale 106 muore la nostra gente, il tratto della Sibaritide rimane uno dei più pericolosi
Nel 2023 sono state 22 le vittime nel tratto calabrese ed erano quasi tutte persone del posto. Un dato che dovrebbe far riflettere non solo sull’utilità di una nuova strada moderna e sicura, quanto sulla tipologia della stessa infrastruttura
CORIGLIANO-ROSSANO - Nel 2023 sulla Statale 106, nel tratto calabrese, si sono verificati 239 incidenti con conseguenti 22 decessi e 443 feriti. Al netto dei numeri sciorinati da Istat che – addirittura – fanno registrare una diminuzione dei morti rispetto al 2022 (6 in meno, come ricorda l’Associazione Basta Vittime sulla Statale 106), bisogna poi focalizzare l’attenzione sulle aree critiche e sulla tipologia di incidenti.
L’area della Sibaritide (comuni di Corigliano-Rossano, Cassano Jonio, Francavilla Marittima, Villapiana, Cerchiara di Calabria e Trebisacce) rimane – insieme al crotonese e al reggino – la zona più critica per le mortalità dovute proprio a incidenti lungo la jonica. Altro dato, però, ancora più emblematico è che la stragrande maggioranza (circa l’88,8%) delle persone decedute a seguito di incidenti sulla SS106 sono autoctoni. Quindi, gente che si spostava sul territorio urbano e che nella routine quotidiana è andata incontro ad un destino crudele solo perché costretto a spostarsi lungo una strada poco sicura e a limite della legalità.
Nel tratto della cinta urbana di Corigliano-Rossano, infatti, nell’ultimo anno sono deceduti giovani, lavoratori, professionisti solo per spostarsi da un punto all’altro della città o del territorio.
Un dato – dicevamo – emblematico che conferma come questo territorio, quello della Calabria del nord-est, prima che un’autostrada veloce per connettersi al resto della Calabria e del Paese ha necessità di avere una strada sicura a suo servizio e a servizio dei suoi cittadini. Che è la prima se non l’unica delle priorità che dovrebbe muovere scienza e coscienza nel rivendicare il diritto, su tutti, ad una nuova viabilità. E di questo, probabilmente, ne sono oggi più consapevoli i tecnici che non chi queste storie drammatiche le vive quotidianamente.
L’idea, infatti, che muoverebbe le alte sfere dello Stato – che si basano su dati e numeri – non oggi ma da sempre, è quella di realizzare, quantomeno nell’area della Sibaritide e di Corigliano-Rossano, una strada che dia sfogo all’altissima incidenza di traffico urbano che si riversa sull’unica arteria stradale percorribile che si trova in questo territorio. Tant’è che anche nell’allora Conferenza dei Servizi di Copanello, nel 2000, il primo tracciato che venne proposto da Anas era a valle (e ripercorreva più o meno quello che è oggi il tracciato della Sibari-Coserie). Tant’è che gli aggiornamenti progettuali successivi, quelli voluti dai comuni che portavano il tracciato più a monte, vennero elaborati ma non vennero mai realizzati. E questo per due ordini di motivi: la sostenibilità economica (oggi come allora una strada a monte costerebbe troppo) e la sostenibilità sociale.
A cosa serve una strada a lunga percorrenza se qui non c’è (almeno per il momento) una lunga percorrenza? Una nuova SS106 servirebbe, infatti, prima di tutto a chi vive in questo territorio. Da qui l’idea di proporre un tracciato a 4 corsie utile a scaricare il traffico urbano (altissimo) insieme a quello extraurbano (di gran lunga minore); quindi un tracciato che tenga connesse le aree urbane della città (i due scali e le contrade) con i suoi punti produttivi nevralgici (porto, aree industriali, nuovo ospedale, zone commerciali) dove c’è più movimento di mezzi.
Che senso avrebbe avere una strada a 4 corsie a monte quando gli spostamenti avvengono a valle? È incredibile il fatto che un cittadino X per spostarsi domani dallo scalo di Corigliano a quello di Rossano, salga prima a Corigliano centro storico, imbocchi la nuova strada, arrivi a Rossano centro storico e poi riscenda fino allo scalo bizantino. È normale che, per fare prima, si continuerebbe ad utilizzare la vecchia, famigerata e mortale SS106 bis.
E gli “algoritmi” che restituiscono l’inutilità di una strada a monte, continua – purtroppo – ad essere confermato dai dati drammatici delle vittime e delle loro generalità anagrafiche. Sulle nostre strade non muoio forestieri, muore gente nostra. Che detta così è un’espressione sicuramente cruda ma rende tutta e per intero l’idea di quanto tempo si continui ancora a perdere su questo argomento.