«Del diavolo e della “potatura”»
Tra gli effetti collaterali del Covid l’essere risucchiati nell’unico grande scenario della nostra casa, rinunciando a quel movimento salutare tra contesti diversi. Ferita o cicatrice? Il corsivo di Anna Salvo, psicoterapeuta e docente Unical
Il diavolo, dicono gli inglesi, si annida nei particolari. Ed è proprio su un particolare – su un piccolo e forse insignificante particolare – della nostra esperienza quotidiana, negli ultimi tempi, che vorrei soffermare lo sguardo. Molto è stato scritto e detto a proposito delle condizioni materiali e psichiche in cui siamo stati e siamo costretti a vivere dalla pandemia da Corona virus. Isolamento relazionale, controllo di gesti altrimenti naturali, sprofondamento in un claustrum che ci consegna troppo a noi stessi, tanto per citare alcuni temi più volte proposti da esperti e studiosi delle vicende della soggettività.
Ciò di cui voglio occuparmi riguarda, come dicevo, un particolare della nostra esperienza nel tempo del Covid. Il restringimento e, talvolta, addirittura la rinuncia forzata ad occupare quegli spazi di passaggio che caratterizzano il nostro movimento da un contesto all’altro, nel corso di una stessa giornata.
Sono i teorici della comunicazione che parlano di “contesti” per definire i diversi e differenti scenari in cui ci muoviamo, passando da uno all’altro, appunto, a seconda del ruolo che siamo chiamati a interpretare. Esiste – giusto per citarne alcuni – il contesto familiare, quello lavorativo e ancora quello relativo al tempo libero: ciascuno dotato di proprie “regole segna-contesto” cui noi ci adeguiamo senza neppure averne coscienza. Ciascuno di noi, per essere più chiara, transita ogni giorno da un contesto all’altro compiendo una sorta di passaggio psichico e comportamentale e mutando i propri atteggiamenti e le proprie abitudini. Stravaccarsi su una poltrona e mettere i piedi sul tavolino è consentito, ad esempio, nel contesto familiare o della propria casa, ma diventa problematico se agito in un bar o tanto meno nell’ufficio in cui lavoriamo.
Sono esattamente questi passaggi o questi transiti che ci sono venuti meno. Per molti di noi la casa è diventata l’unico grande contesto, lo scenario in cui tutto accade. Senza più transiti; né materiali, né psichici. La mia impressione è che tale scenario unico e totipotente ci inchiodi ad una sorta di asfissia, di mancanza di respiro non solo da un punto di vista comportamentale, ma anche psichico. Risucchiati in questa dimensione unica e totalitaria – la casa, le strettissime relazioni familiari – ci stiamo accorgendo (forse con qualche ritardo) che ci manca il movimento dei passaggi, il gioco dei differenti ruoli, il nutrimento che viene appunto dal transitare in diversi spazi e ruoli.
Proporrei di usare un termine non legato alle discipline dello psichico per meglio evocare i costi di questa esperienza nuova. Il termine è “potatura”. Sappiamo bene che potare è una tecnica raffinata, se non addirittura un’arte. Un albero malamente potato, o troppo potato, rischia di perdere la propria vitalità. Così anche noi. “Potati” all’improvviso e in maniera drastica di quei passaggi e di quei transiti che rendevano vivace la nostra vita materiale ma soprattutto quella psichica, rischiamo di appassire e di perdere un poco di vitalità.
Sigmund Freud ha più volte indicato nel contrasto prodotto dalle diverse parti della nostra psiche un punto essenziale per una relativa salute interiore. Scontro, movimento, conflitto sono, dunque, elementi salutari; sono dalla parte della vita. Cosa accade quando le condizioni esterne in cui viviamo assottigliano o riducono al minimo la possibilità del movimento, quando tutto si riduce ad una dimensione? I transiti di cui parlavo poc’anzi sono esattamente l’esemplificazione di un movimento che non è solo comportamentale, ma anche psichico. Passare da un contesto all’altro richiede una elaborazione interiore (quasi mai consapevole) che arricchisce le nostre esperienze, e nutre la nostra vita psichica. Penso, ad esempio, al tempo necessario a recarci sul posto di lavoro; in macchina o tramite i mezzi pubblici viviamo in una sorta di sospensione – è un tempo solo apparentemente inutile – in cui siamo visitati da pensieri fugaci, da ricordi improvvisi, da associazioni inaspettate. Nella nostra psiche si crea movimento; si crea quello spazio salutare che ci consente di vagare (mentalmente) senza una direzione precisa.
Essere deprivati di tale possibilità – essere “potati” di rami così fruttiferi – lascia un segno? Io credo di sì. E spero che quando saremo restituiti alla possibilità di compiere diversi e differenti transiti quel segno non sarà più una piccola ferita, ma solo una lieve cicatrice. Testimone della memoria di un tempo trascorso.
Il Corsivo è curato dalla reggenza dell'Eco dello Jonio con la preziosa collaborazione della prof.ssa Alessandra Mazzei che ogni settimana offre agli utenti la lettura in forma esclusiva di contributi autentici, attuali e originali firmati da personalità del mondo della cultura, della politica e della società civile di fama nazionale e internazionale