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Cultura popolare e memoria, il proverbio: una forma letteraria che nel tempo è divenuto lessico corrente

7 minuti di lettura

CORIGLIAN-ROSSANO - Oggi più che mai fervono iniziative mirate al recupero della cultura popolare. Un recupero che deve necessariamente passare attraverso la memoria e soprattutto, finché è possibile, attraverso coloro che ci hanno preceduto. Tutto ciò, perché la storia, i costumi e le tradizioni risentono inevitabilmente del procedere del tempo sia per quanto riguarda la contaminazione che queste hanno subito e continuano a subire dalle nuove tendenze comportamentali, ma soprattutto linguistiche, e sia per la conseguente perdita della memoria di un passato culturale, a noi tanto caro, che diventa sempre più difficile recuperare.

Alcuni miei tentativi, in passato, accompagnati da specifiche pubblicazioni, come le tre monografie dedicate al mio paese: Mandatoriccio – Storia, costumi e tradizioni, 2010; Proverbi popolari e modi di dire nel dialetto di Mandatoriccio, 2011 ed Espressioni tipiche nel dialetto di Mandatoriccio, 2012  pubblicate dalla casa Editrice Ferrari, mi hanno offerto la possibilità di entrare nel merito di alcuni studi necessari e utili all’approfondimento del patrimonio delle nostre tradizioni costituito dagli aspetti principali della nostra storia, con le sue origini, le usanze, la lingua, le abitudini, curandone gli aspetti maggiormente significativi, ossia quello del costume e della cultura popolare, dalle profonde radici contadine e pastorali.

Tra i tanti elementi della cultura popolare, come oramai ampiamente provato, il proverbio risulta essere un elemento di grande valore storico del buon senso e della sapienza popolare. Quella sapienza cui tante volte si ricorre nella quotidianità per affermare principi e morale desunti dall’esperienza e dettati da norme di vita comunitaria, che in realtà non sono altro che particolari tipi di affermazione che sintetizzano una forma del sapere, concentrata in una frase che si ricorda facilmente, in quanto molto breve.
Ciò ha rappresentato, negli anni, fonte di ricchezza e di pregnanza, ancora oggi molto significativa, che caratterizza il patrimonio culturale e tradizionale delle nostre comunità. Esempio di saggezza popolare, venuto alla luce dall’esperienza del singolo o delle comunità, che negli anni si è trasformato in vera e propria forma letteraria e che consolidandosi è diventato lessico corrente molto apprezzato.

I proverbi tramandatici, ancora oggi, abbracciano il complesso mondo della vita dell’uomo, individuandone sia le tendenze riprovevoli, sia le abitudini dannose, ma anche le buone qualità e le modalità per vivere rettamente, facendo il bene e fuggendo il male.
La storia della nostra società e l’ambiente in cui si collocano ne ricevono certamente beneficio aiutando molto la ricerca antropologica attuale, per il messaggio che questi riescono a fornire.
Il proverbio offre uno spaccato della nostra cultura popolare e non solo, considerato la loro diffusione nel linguaggio corrente in ogni comunità calabrese, usati per la loro straordinaria versatilità e adattabilità, ragione per la quale sono diventati inossidabili al trascorrere del tempo.

A tale scopo, mi preme sottolineare come questo tipo di saggezza sia capace di subire continue metamorfosi, ossia quelle trasformazioni necessarie che si impongono per assolvere il compito cui è preposta. Pertanto, i proverbi si rinnovano con molta facilità e si adeguano alla evoluzione delle nuove realtà e ai cambiamenti in atto nella società.

Già nel corso della mia infanzia, durante gli incontri in famiglia, insieme ai nonni, percepivo nella perizia dei nostri anziani quella di collegare con semplicità e naturalezza le loro espressioni di saggezza popolare, massime a volte molto pungenti, calate su ogni avvenimento, circostanza, condizione, momento, o accadimento della quotidianità. Quindi si può tranquillamente dire che la cultura popolare è in grado di offrire risposte, attraverso i proverbi, in quanto capace di fornire sempre una spiegazione, un commento, un chiarimento a quelle che sono i bisogni  di decodificazione di ciò che accade intorno a noi.  Durante gl’incontri con i nonni, ciò che, invece, mi ha sempre impressionato, era la morale di quelle massime, pronunciate, puntualmente, soprattutto dal nonno quando diceva a noi nipoti: ‘A cánna se chíjche quánnu è víarde.  (dal. lat. [plicare]. Piegare, ripiegare, curvare). La canna va piegata, quando è verde. Ossia, [I difetti, le abitudini si correggono sul nascere]. Oppure, ‘a cávulu jurútu chíllu chi hfá é túttu pardútu. Quando il cavolo è già fiorito quello che fai è perso. Sentenza con la quale ci trasmetteva che “ogni cosa va fatta al momento giusto. È inutile e vano cercare di curare qualcosa dopo la sua maturazione”].

Una situazione che col tempo è diventato studio e ricerca dove l’elemento trainante del percorso, a dire il vero non è stato facile, ma che mi ha permesso, come accennavo prima, di trascrivere circa mille proverbi nel dialetto mandatoriccese, cui ha fatto seguito la traduzione ad litteram e infine una successiva considerazione o nota riguardante il significato, ossia la morale del proverbio secondo una personale e opinabile interpretazione. 

Al riguardo, nel 2011, Assunta Scorpiniti nella Prefazione al mio volume sui proverbi così scriveva: «Per chi, come me, è attratta dalla ricchezza della parola, il gioco delle assonanze ha un fascino particolare; ancora più sapendo che tale pratica ha consentito – proprio attraverso i proverbi – la trasmissione di tanta poesia naturale, dalla struttura linguistica semplice quanto colma di consapevolezza, rappresentazioni e immagini strettamente collegate all’ambiente circostante. "Il linguaggio popolare è un’immensa foresta di simboli" afferma, a riguardo, Maffeo Pretto, spiegando che nelle corrispondenze simboliche in cui si concretizza l’affascinante parallelismo fra il mondo della natura e il mondo dell’uomo, molto presente nelle culture del Sud Italia, "si viene a porre il senso di una solidarietà generale del mondo naturale con la vita dell’uomo". Il mondo naturale, con i suoi ritmi, i suoi fenomeni, le piante, gli animali, gli astri… diventa, secondo lo studioso, l’occasione, per l’uomo, di conoscere, cioè "di prendere coscienza di se stesso, delle sue attività, dei suoi valori e dei disvalori»; in parallelo, quindi, con la condizione umana «di cui diventano simbolo", e, quindi, pretesto per proporre regole di vita, dati dell’esperienza, esortazioni, avvertimenti. Esempi si possono trarre proprio da questo bel volume di Franco E. Carlino: “‘U ríapule ddúe násce móre” è per dire che ognuno è fedele alle proprie radici, come la lepre che finisce i giorni laddove inizia la sua vita; oppure “Ária nétta ‘un se spágne dde ri trúani” per sottolineare che, come il cielo sereno non teme i tuoni, chi ha la coscienza pulita può camminare a testa alta, senza paura di confronto».

I proverbi raccolti ebbi modo di organizzarli in cinque sezioni per dargli senso e significato: la prima fu dedicata a quelli riferiti alla vita contadina, la seconda ai proverbi avente per soggetto gli animali, la terza ai proverbi che interessano i comportamenti umani, le relazioni e le difficoltà della vita, la quarta ai proverbi riguardanti le tappe della vita, i sentimenti, il pregiudizio, la religione e la superstizione e, in ultimo, la quinta, formata da proverbi che affrontano le problematiche su alimentazione e salute. 

Negli ultimi anni la storia sul costume e la tradizione locale si è arricchita di numerosi titoli. Molti i saggi, pubblicati in ambito territoriale, insieme a raccolte di proverbi, usanze e canti popolari. Da ciò nacque l’esigenza e l’utilità di una raccolta, finalizzata a riscoprire l’ironia presente nella saggezza dei nostri antenati e delle persone anziane, quale testimonianza della memoria del passato e di una cultura popolare da preservare e rinnovare. Tutto ciò è stato anche possibile grazie al significativo contributo di mia madre.
Credo, che ognuno di noi, attraverso le pillole di saggezza tramandatici, dai nostri genitori e dalle persone anziane possa risvegliare e rafforzare quei valori e quei comportamenti che regolano i rapporti sociali in quanto ne dettano le norme della morale naturale. 
In un altro passo della sua interessante Prefazione, Assunta Scorpiniti così scriveva: «Mi piace, per questo, pensare ai proverbi o, per meglio dire, ai “dittati i na vota”, come a centinaia, migliaia di istantanee, tenute insieme da una sorta di “filo sonoro” che, nel nome di un’intelligenza prudente, a sua volta lega le generazioni, consentendo la conservazione di un aspetto importante dell’identità culturale di Calabria; un bene da custodire e preservare oltre l’idea di contenitore di antiche cose o di album dei ricordi da sfogliare spinti da un sentimento di nostalgia verso un altro tempo, un’altra storia, una diversa concezione del mondo.

I proverbi, infatti, sono sempre stati un logico intercalare nell’ambito della comunicazione delle nostre società tradizionali, la cui vita, spiega, parlando di “arte dialettale”, il documentarista e antropologo Vittorio De Seta, era solo in apparenza arretrata: «C’era consapevolezza, all’interno di quel mondo in cui non c’erano pressioni; c’era un modo di rapportarsi alle persone e una visione della vita oggi perduta, scomparsa, sopraffatta dal progresso».

Il dovere della memoria impone, per questo, di attribuire agli antichi detti anche il valore prezioso di documento della storia collettiva che, nonostante le attuali contaminazioni – positive senz’altro – dei linguaggi e delle culture, anche in Calabria si sta costruendo col lavoro paziente ed appassionato di tanti ricercatori, narratori, cultori dei principi dell’identità e dell’appartenenza ai luoghi.
Franco E. Carlino ne è valido rappresentante; al suo paese natale, Mandatoriccio, stupendo centro della fascia presilana, nella provincia di Cosenza, oltre che “centro” dei suoi riferimenti esistenziali, ha dedicato il sentimento di figlio di questa terra calabrese, che, in modo del tutto personale, ama esprimere nella cura e nel rispetto per ogni dettaglio, ogni dato locale rappresentativo, nella ricerca della storia, dell’identità, del sistema di relazioni che contraddistingue il suo paese. […] Il lavoro, arricchito dai pregevoli bozzetti di Franca Civale, è interessante anche come ricerca sul campo di memorie radicate nell’oralità popolare, che rischiano di perdersi col passaggio generazionale; l’autore, le restituisce con una trascrizione fonetica in forma semplificata ma non priva di ritmo e musicalità, abbinata alla traduzione letterale in italiano e alla descrizione del significato. La forza del dialetto è, infatti, l’elemento trainante, per come arricchisce la parola e le conferisce un aspetto fortemente evocativo e descrittivo di ogni specifico elemento» .

Il presente intervento vuole, per quanto possibile, smuovere le coscienze affinché quanto ci appartiene in termini di storia delle nostre tradizioni, usi e costumi venga in qualche modo salvaguardato.

(fonte foto La Repubblica)

Franco Emilio Carlino
Autore: Franco Emilio Carlino

Nasce nel 1950 a Mandatoriccio. Storico e documentarista è componente dell’Università Popolare di Rossano, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e socio corrispondente Accademia Cosentina. Numerosi i saggi dedicati a Mandatoriccio e a Rossano. Docente di Ed. Tecnica nella Scuola Media si impegna negli OO. CC. della Scuola ricoprendo la carica di Presidente del Distretto Scolastico n° 26 di Rossano e di componente nella Giunta Esecutiva. del Cons. Scol. Provinciale di Cosenza. Iscritto all’UCIIM svolge la funzione di Presidente della Sez. di Mirto-Rossano e di Presidente Provinciale di Cosenza, fondando le Sezioni di: Cassano, S.Marco Argentano e Lungro. Collabora con numerose testate, locali e nazionali occupandosi di temi legati alla scuola. Oggi in quiescenza coltiva la passione della ricerca storica e genealogica e si dedica allo studio delle tradizioni facendo ricorso anche alla terminologia dialettale, ulteriore fonte per la ricerca demologica e linguistica