di DAMIANO MONTESANTO “Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”. In questo modo potremmo modificare il vecchio adagio sostituendo, nella prima parte, il cibo alle persone. Quel cibo che ognuno consuma tra le mura domestiche e che non sempre si trova nei ristoranti o nelle trattorie del Basso Jonio.
Per mangiare il cosiddetto pesce povero, che poi tanto povero non è, dal punto di vista organolettico e della buona alimentazione, ti devi raccomandare in anticipo col gestore del locale. Eppure in un paese dalla forte tradizione marinara dovrebbe essere il primo dei piatti da presentare, preparato con gli ingredienti che lo rendono tipico e unico, anche dal punto di vista linguistico.
Se si prova a chiedere una Ghjotta o un primo piatto preparato col brodo di pesce, ti rispondono che non sono piatti che si preparano in un ristorante, ma a casa. Mentre si aspetta poco tempo per avere una tagliatella alla bolognese, o una bistecca alla milanese, per non parlare delle farfalline al salmone. Già il salmone, che deve percorrere migliaia di chilometri per raggiungere le nostre latitudini e sopportare stress climatici, prima di imbandire i tavoli del ristorante locale. Si parte dal pesce, per finire al caciocavallo, ai salumi, ai formaggi, ai pomodori e alle melanzane locali. Spesso i succedanei di questi prodotti passano dagli scaffali dei supermercati direttamente ai tavoli del ristorante, non solo senza alcun rispetto della propria storia e della propria cultura, ma anche senza la minima considerazione per l’economia dei nostri luoghi. Il discorso si completa, poi, quando passiamo a considerare
la scarsa presenza, se non addirittura l’assenza, di prodotti come l’olio extravergine di oliva e il vino, per i quali i nostri territori sono giustamente famosi. Eccellenze che timidamente fanno capolino, nascoste tra tanti prodotti di dubbia qualità e valore. Da Cariati a Mandatoriccio e Campana, da Longobucco a Bocchigliero, passando per Pietrapaola e Calopezzati, tanti sono i prodotti tipici da mettere in campo! Un nuovo ristorante, piccolo ma accogliente, da poco aperto a Cariati, si propone al pubblico con piatti tipicamente marinari, con pesce rigorosamente del nostro mare, a partire dal pesce povero. «I miei fornitori sono i pescatori e i miei clienti dovranno sentire il profumo del mare – esordisce
Franco Lettieri, uno di quei giovani ritornati alla terra, gestore del “
Pepebianco 15/12” che ambisce ad essere un nuovo covo dell’autentica identità marinara–. La mia è una sfida perché la vera innovazione, nel campo della ristorazione, è riscoprire ed emozionare l’ospite con la tradizione, la tipicità e i piatti della nostra memoria». A Cariati sta prendendo piede questo concetto. Anche nel centro storico l’unico ristorante presente “L’antico Frantoio” propone come specialità, tra le altre cose, la carne di vacca rigorosamente podolica, a conferma del nuovo indirizzo della ristorazione. D’altra parte si assiste ad una presa di coscienza, da parte degli addetti, che vuol fare della qualità e tipicità l’asse portante di un settore che pure non sfugge agli effetti negativi della crisi. Non poteva essere diversamente nella terra del pluricampione
Pietro Tangari, in arte Pedro’s, il giovane che ha portato indubbie novità nel settore della pizza, dall’impasto a lunga lievitazione, alle
pizze identitarie, grazie alle quali, di recente, è balzato anche agli onori nazionali, citato dalla rivista Bell’Italia. Si ripropone qui il vecchio dilemma, se sia più giusto assecondare la clientela, con una cucina generalista e spesso senz’anima, o educarla al consumo di prodotti che, oltre a deliziare il palato, raccontano parte della nostra storia e possono mettere in moto oggettivi processi economici interni, a partire proprio dalla comunicazione delle nostre tipicità, tanto apprezzate altrove e, talvolta, maldestramente imitate. Scommettere sulla tipicità dei prodotti, portando all’attenzione dei giovani una cucina alternativa a quella della grande distribuzione e a quella della ristorazione generalista. Chi sceglie questo tipo di locale sa già, in partenza, che troverà tutto ciò che non può trovare altrove. Pasta e ceci, pasta e fagioli, patate fritte e peperoni, cipolline selvatiche, salumi e formaggi rigorosamente locali, oltre alle conserve preparate dalla nonna e al buon vino calabrese. Questa un’altra interessante proposta del centro storico di Cariati. “
A cantina”, meta di giovani e meno giovani, amanti del buon cibo e della sua storia. Un’iniziativa che ha rotto un tabù e colmato un vuoto evidente nel settore della ristorazione. «Perché un turista dovrebbe venire qui e scegliere la marina o il centro storico per poi trovare, però, nella ristorazione (e non solo) le stesse identiche cose che può trovare ovunque nel mondo?» È, questa, la filosofia quanto meno delle giovani generazioni. Difficile dare loro torto.