di PASQUALE LOIACONO Gli abitanti di Scala Coeli rischiano, ancora una volta, di rimanere segregati in casa, a meno che non decidano d’imbarcarsi in avventure rocambolesche per raggiungere la costa, la “civiltà” del terzo millennio. Quassù, sui monti della presila jonica, non ci sono strade, anzi, quelle che c’erano non sono più praticabili. Da Scala Coeli non si passa: ci si deve andare. Ma i pochi cittadini che ancora vivono nello splendido borgo sono “costretti” (scuole, uffici e sgangherati servizi sanitari) alla
mobilità, un diritto che sembra loro negato da un assurdo balletto di infinite competenze e che ha come protagonisti il Comune e la Provincia di Cosenza. Per raggiungere la costa jonica, ci si serviva, fin dai primi anni del secolo scorso, della statale 108 ter, che, dopo il riordino della rete viaria, di competenza della Provincia, è stata pomposamente rinominata Sp 260. Accade che nel 2006 (come dire, per i tempi burocratici, l’altro ieri), precisamente il 14 aprile, una frana isola completamente il paese. L’alternativa, per studenti, lavoratori e cittadini bisognosi di cure è quella di sobbarcarsi un ampio “giro” che risale fino a Mandatoriccio e ridiscende sulla 106: 42 chilometri di curve e tornanti contro gli originari 20. Ma la vecchia gente di montagna è caparbia, e sopporta con dignità il disagio. Finalmente, grazie anche alle insistenze del sindaco dell’epoca, qualcosa si muove e l’Ente gestore (sempre la Provincia) appalta i lavori che, invero, vengono ultimati a tempo di record. Tutto a posto? Macché. Nel frattempo, c’è un altro pezzo di strada che crolla, e continua a venir giù.
Insomma, dopo 10 anni, il tratto compreso fra Scala Coeli e Terravecchia è interdetto al traffico: chi tenta il “passaggio” lo fa a proprio rischio e pericolo. Forse si trova la soluzione: mettere in sicurezza il percorso che collega Scala Coeli con la frazione di San Morello da dove si può imboccare la provinciale che immette sulla statale 106.
Il costo complessivo, tutto a carico della Provincia, è di 500mila euro. La conformazione geologica del terreno su cui sorge quella strada (ma qui la storia affonda davvero nella notte dei tempi) non dà scampo: la sede sta sprofondando, nonostante i rimedi palliativi del Comune. Chi deve intervenire?
Non va meglio nella frazione di San Morello che è a un tiro di schioppo da Cariati. Sulla
timpa, in quel nugolo di case, antiche e possenti, vive solo gente anziana e fiera col volto scavato dalla fatica: i “giovani” sono scappati. Tutti. Quassù i “vecchi”, nella piazzetta del borgo da cui la vista spazia fino all’orizzonte segnato dal golfo di Taranto e dal maestoso Pollino, si godono l’ultimo sole di un’estate che non vuol saperne d’andarsene. Le storie che si raccontano sono sempre le stesse: la gioventù trascorsa in Alta Italia o all’estero; il rimpianto di essere ritornati al Sud ché forse sarebbe stato meglio rimanere lontani; la nostalgia per figli e nipoti che ritorneranno solo per qualche giorno nella prossima estate; la pensione che non basta mai; il dolore alle ossa che non lascia riposare la notte; la bolletta della luce e del telefono; la pioggia che non arriva e inaridisce la terra facendo marcire le olive sulla pianta. C’è solo un bar e lo studio di un medico di famiglia aperto due giorni a settimana. Nessun negozio di generi alimentari: ci si approvvigiona a Cariati come e quando si può, perché i vecchi non hanno l’auto e si affidano ai meno anziani per la “spesa” settimanale. Resiste solo qualche “adulto”, che quando deve “scendere” a Cariati fa prima il giro del paese per sentire se c’è qualcuno che ha bisogno di qualcosa o di un “passaggio” per sbrigare faccende o semplicemente per una bistecca.
La solidarietà, a San Morello come in chissà quanti altri villaggi della dolente Calabria, è un obbligo morale, un imperativo categorico atavico, segnato, ad intervalli regolari, dal dolore di un’esistenza dignitosa e sobria. Fino a qualche tempo fa, c’era un dispensario farmaceutico, ma è stato chiuso: ci sono talmente poche persone che si rischiava, sempre, di far scadere i medicinali. Quelle persone, coi loro drammi e gli inevitabili acciacchi determinati dall’età, sono diventati numeri, codici a barre ingestibili o, comunque, un fardello inutile nella società dell’informatica esasperata che corre e qui, invece, sembra rallentare fino a fermarsi. Anime perse che non possono neanche avere il conforto del “villaggio globale” offerto da internet: chi saprebbe usare la rete? Se hai bisogno di una medicina, devi correre a Cariati o a Scala Coeli. Ma Scala Coeli, così vicina, è ai confini del mondo. Mentre a Cariati, nonostante tutto, si risolvono un mucchio di situazioni, compresa quella, normale, di recarsi in una farmacia per la pillolina della pressione, del diabete, dell’emicrania.
Quassù le istituzioni non ci sono: hanno relegato le anime vive dei sanmorellesi nel baratro dell’oblio e la rassegnazione è un suicidio quotidiano.